Ripamonti: “Più che di politiche volte a trovare soluzioni costruttive sul lungo periodo si propongono misure per tranquillizzare l’opinione pubblica”
A cura del Centro Astalli
La rivolta che è scoppiata nella notte al centro di prima accoglienza di Cona in provincia di Venezia e la proposta di questi giorni di aprire i Cie in ogni città sono segnali che destano grave preoccupazione. Sono situazioni che riaffermano un’urgenza più volte sottolineata dal Centro Astalli (Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia): la necessità di ripensare e riformare il sistema di immigrazione e asilo in Italia.
In particolare va ribadito che è ampiamente dimostrato che privilegiare l’uso di centri con numeri elevati di migranti non è mai una buona soluzione.
La fase di emergenza deve durare pochissimo e va supportata da una buona organizzazione della rete di accoglienza per piccoli numeri, diffusa sul tutto il territorio nazionale, restituendo così dignità ai migranti accolti e agli operatori che li assistono.
Padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, sottolinea che: «È fondamentale il coinvolgimento dei comuni. Basterebbe che ognuno accogliesse poche decine di migranti in maniera progettuale e inclusiva. Questa è la strada da seguire per evitare situazioni di tensione e di ingovernabilità di un fenomeno che viene raccontato sempre più spesso con toni allarmistici ed emergenziali, ma che di fatto i numeri ci mostrano essere assolutamente gestibile attraverso un’efficace programmazione».
In questi gironi si torna a parlare di Cie e di rimpatri come se una risposta securitaria fosse in grado da sola di affrontare un fenomeno complesso articolato come quello delle migrazioni.
«Ci pare pericoloso e fuorviante – continua Ripamonti – tornare ad associare immigrazione a criminalità in un clima esacerbato dalla minaccia terroristica. Più che di politiche volte a trovare soluzioni costruttive sul lungo periodo si propongono misure apparentemente più di impatto nell’immediatezza nel tentativo di tranquillizzare l’opinione pubblica.
La legge Bossi Fini, attualmente in vigore, ha 15 anni di vita. Fu scritta in un momento in cui le migrazioni in Italia erano profondamente diverse da quelle attuali. Guardare al passato senza l’urgenza di una rilettura e di un radicale rinnovamento delle politiche migratorie nazionali non può portare ad alcun progresso».