«Quando chiedo alle persone perché rischiano la vita in questo modo, ricevo ogni volta la stessa risposta: “Non abbiamo alternativa”. Queste persone conoscono i pericoli, ma rischiano comunque. Ci dicono che preferirebbero annegare cercando sicurezza e libertà piuttosto che restare nei loro paesi d’origine o in Libia dove le loro vite non valgono la pena di essere vissute», racconta un coordinatore di Medici Senza Frontiere operativo a bordo della MY Phoenix.
Tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2015 si stima che 1.008.616 siano giunte in Europa in fuga dal proprio paese; la maggior parte proviene da paesi che producono un alto numero di rifugiati come la Siria, l’Afganistan e l’Iraq (per approfondire vedi la nostra scheda qui). Il 25% è rappresentato da minori.
In che modo l’Unione europea ha risposto ai bisogni umanitari di queste persone? O meglio: quali sono le conseguenze umanitarie delle decisioni prese dall’Europa? Medici Senza Frontiere prova a rilevarlo nel rapporto “Corsa a ostacoli verso l’Europa” attraverso le testimonianze dirette di operatori e pazienti e con i dati medici raccolti.
Gli ostacoli alla corsa verso la sicurezza eretti dalle politiche europee e messi in evidenza dall’organizzazione umanitaria sono molti: dalla mancanza di alternative alle traversate del Mediterraneo alle recinzioni di filo spinato, dalle procedure amministrative e di registrazione complesse e mutevoli alle condizioni di accoglienza inadeguate in Italia e Grecia. Non sono mancati, inoltre, gli atti di violenza in mare e alle frontiere di terra.
Problemi che, sottolinea Msf, “potevano essere prevenuti con vie sicure e adeguate condizioni di accoglienza“.
Nel 2015, anno con la più alta mortalità nel Mediterraneo (sono almeno 3771 le vittime o le persone scomparse accertate) sono stati visitati da Medici Senza Frontiere circa 100mila pazienti, tra rifugiati e migranti, sulle imbarcazioni nel Mediterraneo, in Italia, in Grecia e nei Balcani.
A mettere alla prova le condizioni psico-fisiche di chi intraprende il viaggio, non solo le difficili condizioni. Tra i 408 casi più gravi, il 70% avrebbe subito violenze fisiche, rapine, abusi verbali o intimidazioni durante il viaggio verso l’Europa. Sono molte le testimonianze relativa alla presenza di gruppi che agiscono nel mare Egeo a volto coperto, rapinando i migranti e buttandone gli oggetti personali. Così come sono numerosi i racconti di barche che avvicinano i gommoni per tentare di forarli, o quelli sulla Guardia costiera greca che, secondo quanto riferito, in alcuni casi non avrebbe prestato soccorso pur trovandosi nelle vicinanze. Sulle tali accuse, respinte dalla Guardia costiera, non vi sono state ancora stata investigazioni appropriate, ricorda Medici Senza Frontiere.
C’è chi bacia terra, chi piange, chi esulta. Essere sopravvissuti alla traversata del Mediterraneo significa essersi lasciati alle spalle una fase dolorosa e pericolosa. Quella successiva, però, continua a essere difficile: le precarie condizioni di accoglienza in tutta Europa e la costante mancanza di informazioni, denuncia Medici Senza Frontiere, hanno fatto sì che a molti fossero negati i bisogni più elementari.
«Viviamo in una tenda sporca. Non ci sono materassi per dormire, solo scatole di cartone. Non ci sono coperte ma sporcizia. Non vogliamo nemmeno avvicinarci ai bagni. L’acqua non è pulita, non possiamo lavarci. Non posso credere che sto vivendo in queste condizioni con la mia famiglia. Ero un’insegnante e mio marito un contabile, guardateci adesso. Tutto questo è disumano», racconta una donna siriana in Grecia.
Secondo Msf qui, ad aggravare le condizioni di un sistema di accoglienza totalmente inadeguato, vi è anche l’atteggiamento delle autorità, che negli ultimi mesi hanno impedito attivamente l’intervento delle organizzazioni umanitarie in alcune circostanze: a Kos, per esempio, dove lo scorso ottobre arrivavano centinaia di persone ogni giorno, non esiste un servizio di accoglienza e le autorità si oppongono alla creazione di strutture di ricezione o transito. «Abbiamo visto donne incinte e bambini in fila per giorni nel fango, bagnati fradici sotto la pioggia battente, senza alcuna protezione, alcuni con indosso soltanto una t-shirt – spiega il coordinatore sul campo a Lesbo a proposito dei lunghi tempi di registrazione – Le persone non possono più stare in piedi perché i loro piedi sono gonfi. La polizia non permette loro di lasciare la fila per avere accesso alle cure mediche. È assolutamente disumano».
L’impatto di tali condizioni sulla salute dei richiedenti asilo è grave: tra giugno e novembre 2015, due terzi dei pazienti di Msf in Grecia soffrivano di infezioni alle vie respiratorie, malattie della pelle e traumi di vario tipo.
La situazione è migliore in Italia, dove vi è un sistema di accoglienza funzionante seppure insufficiente rispetto al numero di arrivi. I migranti sono spesso condotti, in una prima fase, in centri sovraffollati dove hanno scarso accesso all’assistenza medica e psicologica, al supporto legale e amministrativo. Per le stesse ragioni, alla fine del 2015, Medici Senza Frontiere ha lasciato il Centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, designato come hotspot: «Era scesa dalla Bourbon Argos con un lungo vestito, ultima tra le 700 persone sbarcate, ed era sola. Abbiamo subito capito che aveva subito una violenza durante la sua traversata del deserto. Aveva subito anche una mutilazione genitale – riporta un medico – Abbiamo avvertito le autorità e chiesto di mandare Fatima in una struttura specializzata, ma non abbiamo ricevuto risposta. La lunga attesa all’interno del centro sovraffollato ha destabilizzato ancora di più la sua salute mentale e ha reso necessario il trasferimento in un centro psichiatrico. Per noi è stato un fallimento».
L’alternanza di politiche di apertura e chiusura delle frontiere, resa possibile dalle decisioni dei singoli stati, ha reso ancor più pericoloso il viaggio dei richiedenti asilo, i quali sono stati in più occasioni bloccati in aree dove l’assistenza umanitaria è scarsa o assente. Molti sono stati spinti in questo modo a scegliere vie ancora meno sicure o a rivolgersi ai trafficanti.
La salute psicologica dei richiedenti asilo può risultare gravemente compromessa dalle sofferenze patite sulla rotta verso l’Europa del Nord, evidenzia il rapporto. Mentre col passaggio sicuro organizzato a luglio dalla Macedonia verso la Serbia Msf ha avuto modo di constatare che le persone, viaggiando in condizioni decenti e raramente esposte a violenza, arrivassero a destinazione in condizioni di salute relativamente buone, nel mese di novembre a Idomeni ha osservato un aumento di attacchi di panico e tendenze autolesioniste, conseguenza delle aspre condizioni alle frontiere e della mancanza di ogni certezza sul futuro.
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