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Cosa succede nei Paesi di origine dei richiedenti asilo

Da dove arrivano uomini, donne e bambini che cercano protezione in Italia? E perché scappano, non sempre e non solo per la guerra? Le risposte nella nuova infografica di Carta di Roma

di Alessandro Lanni (@alessandrolanni)

Come è ormai noto, il numero dei richiedenti asilo nel 2018 in Italia è in calo. Nei primi sei mesi dell’anno 33.770 uomini, donne e minori provenienti da Africa, Asia ed Europa (quattro continenti se si aggiungono anche i pochi sudamericani) hanno chiesto protezione internazionale nel nostro Paese. Un trend in discesa già iniziato nel 2017 e che con tutta evidenza proseguirà nei prossimi mesi.

Nonostante questo calo, in Italia lo scontro politico è sempre molto alto e la propaganda sul tema continua a essere molto forte.

Per fare chiarezza e per provare a restituire una fotografia diversa dei principali Paesi di provenienza dei richiedenti asilo in Italia, abbiamo selezionato alcune classifiche stilate da organismi autorevoli che possono aiutare a capire meglio la situazione in quei Paesi.

A differenza di quello che spesso si sente o si legge, non si fugge dal proprio Paese solamente a causa di una guerra. A volte la soglia di democrazia è bassissima, altre volte non c’è libertà di stampa o la soglia di povertà (non solo economica) rende impossibile la stessa sussistenza.

Le motivazioni che spingono, e che hanno spinto, centinaia di migliaia di persone a viaggi difficilissimi e pericolosi sono complesse, e non solo la fuga da un conflitto.

E senza dimenticare – come al contrario spesso accade – che il diritto all’asilo è un diritto soggettivo e non collettivo che va riconosciuto ad ogni singolo individuo sulla base della situazione personale e non a un contesto ampio, nazionale.

Si fa presto a parlare di “migranti economici”. Prendiamo per esempio il Multidimensional Poverty Index (realizzato dal Development Programme delle Nazioni Unite). Questa classifica prende in considerazione solo parte dei Paesi del pianeta (un centinaio), quelli in cui la “povertà acuta” è più diffusa. E mette in ordine secondo una povertà che non è solo economica, ma comprende anche beni e servizi che contribuiscono a costituire una vita “non povera”. ll MPI quindi tiene conto anche della mancanza di un sistema scolastico e sanitario dignitoso, l’impiego o la sicurezza personale. Come scrivono i curatori dell’Index: «Nessun indicatore da solo, come per esempio il reddito, è in grado di cogliere i molteplici aspetti che contribuiscono alla povertà».

Come mostrano le graduatorie che abbiamo raccolto, molto spesso i Paesi più poveri – e dai quali si fugge o si vorrebbe fuggire – sono anche quelli in fondo alle graduatorie sulla democrazia o dove i diritti civili non sono tutelati. Poveri economicamente, ma anche poveri di democrazia e di libertà.

Un esempio in questo senso è il Gambia, Paese di provenienza del giovane richiedente asilo morto suicida perché aveva visto respinta la domanda di protezione. Il Gambia è un paese che nel 2016 ha avuto libere elezioni dopo 20 anni di presidenza Jammeh e di grandi restrizioni su diritti politici e civili. Ora – scrive Freedom House – «le libertà fondamentali, compresi i diritti di riunione, di associazione e di parola, sono migliorate, ma lo stato di diritto non è consolidato. Le persone LGBT subiscono gravi discriminazioni e la violenza contro le donne rimane un problema serio».

Ecco, malgrado non ci sia una guerra, il Gambia è un Paese da cui – almeno per alcuni – è legittimo fuggire o no?

 

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