Di Michele Serra su Repubblica
La parola “razzista” è ancora carica, e per fortuna, di un’aura di violenza e di illegittimità. Quanto basta perché il candidato moderato (autodefinizione) alla Regione Lombardia, l’ex sindaco di Varese Attilio Fontana, definisca frettolosamente «un lapsus» l’avere tirato in ballo, contro l’immigrazione, la difesa della «nostra razza bianca», frase sfuggitagli di bocca nel corso di una chiacchierata a Radio Padania. Uguale premura ha avuto Donald Trump, che una volta tanto ha mentito per decenza, negando di avere definito «cessi» una manciata di Paesi molto poveri e popolati prevalentemente da non bianchi. E lo stesso scrupolo che ha animato la decisione dell’Ukip (partito isolazionista inglese) di sospendere una sua illustre militante, la fidanzata del leader Bolton, che aveva accusato la fidanzata del principe Harry di essere «una afroamericana che macchierà con il suo seme la famiglia reale». In buona sostanza: il razzismo non è affatto sdoganato, tanto è vero che perfino partiti e persone fortemente sospettabili di suprematismo bianco, dunque di razzismo in purezza, avvertono il bisogno di ripulirsi dal sospetto di esserlo.
I nazisti dell’Illinois (e i nazisti di Varese, che da anni festeggiano il compleanno di Hitler) rimangono dunque la ristretta schiera di coloro che possono rivendicare pubblicamente, schiettamente il loro razzismo. Gli altri, a quanto pare, a cominciare dal presidente degli Stati Uniti e per finire, nel suo piccolo, al candidato del centrodestra per la Lombardia, se ne vergognano: e questa è un’ottima notizia. Detto questo, merita un approfondimento quanto sostenuto da Attilio Fontana. Secondo il quale l’invasione degli stranieri metterebbe a repentaglio «la nostra società e la nostra razza bianca». Non si potrebbe concepire una frase più contraddittoria, più zoppicante: perché «la nostra società» ha drasticamente cancellato dai suoi presupposti il concetto di «razza», che è anticostituzionale e antiscientifico (decida Fontana quale delle due violazioni è la più grave). La razza bianca, semplicemente, non esiste, così come non esisteva la razza ariana, mito fondante del nazismo.
Esistono, queste sì, «la nostra società» e «la nostra cultura». E rientra nella logica delle cose, nell’istinto basico di ogni politica degna di questo nome, la preoccupazione di difenderle, di migliorarle, di tutelarne i principi fondanti, anche laddove il forte impatto dell’immigrazione le metta in discussione: è annoso e del tutto legittimo, per esempio, il dibattito sulla complicata integrazione dell’immigrazione islamica (non tutta) in merito a una questione nevralgica, quella dell’autodeterminazione delle donne. Ma non è ovviamente «la razza», è la cultura, semmai, il terreno di confronto, e se necessario di scontro. La razza in quanto “pura” è menzogna, fantasma paranoico, invenzione propagandistica. Le cosiddette razze sono il portato di infinite contaminazioni, migrazioni, occupazioni, sottomissioni (si pensi al meticciato sudamericano, conseguenza dell’assoggettamento e della messa in schiavitù da parte degli europei). Esistono eloquenti, clamorose ricerche scientifiche sul Dna che a quasi ciascuno di noi attribuiscono avi impensati, perché come dice quella miserabile inglesina che ha offeso la magnifica neo-principessa britannica, «il seme» è per sua vocazione vagante, promiscuo, vitale.
Il razzismo fa schifo perché è violento, ma fa pena perché è stupido. Non conosce e non impara, non sa, non memorizza, non si inchina alla potenza della vita. È scritto a chiare lettere, in ciò che noi siamo come comunità, come italiani e come europei, come storia collettiva, come società moderna e raziocinante, che non è la razza o la religione a costituire ragione di cittadinanza. È il diritto degli individui di avere uguali diritti e uguali doveri, di essere uguali e ugualmente rispettabili. In conseguenza di questo principio («la nostra società» non consente che si possa parlare di «nostra razza bianca») siamo sicuri che il candidato Fontana, a differenza dei nazisti di Varese, vorrà operare presto e bene in favore dell’antirazzismo, e dunque in favore della difesa della nostra cultura, e della nostra comune coscienza.
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