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Dare un nome alle vittime del Mediterraneo, una rete di scienza e umanità

“I diritti annegati” è il nuovo libro di Cristina Cattaneo e Marilisa D’Amico che raccoglie il lavoro di un team di esperti per identificare le vittime dei naufragi

La lista dei morti in mare nel 2016 si sta drammaticamente allungando, ad oggi sono 4220 i morti e i dispersi nel Mediterraneo, in base alle stime dell’Unhcr.

Il libro “I diritti annegati”, di Cristina Cattaneo e Marilisa D’Amico (edito da Franco Angeli) è dedicato a questo tema ed analizza le procedure di identificazione delle vittime, messe a punto dal team di ricerca dell’Università di Milano, coordinato dalla professoressa Cattaneo. Secondo quanto riportato da Redattore sociale, durante la presentazione del 3 novembre alla Camera, Vittorio Piscitelli, commissario straordinario per le persone scomparse: «questo è un grande contributo del quale si sentiva la mancanza, in questa nostra esperienza ci siamo scontrati con molti vuoti, soprattutto legislativi – aggiunge – Ma anche se in questi eventi non eravamo mai stati coinvolti prima ci siamo inventati qualcosa, un progetto che ci sta facendo fare bella figura come paese. A livello europeo, invece, registriamo solo sordità».

Cos’ha fatto l’Italia finora?

Il libro descrive le procedure messe a punto finora per dare un nome alle vittime del mare, ma vuole essere anche una denuncia per richiamare l’attenzione. Riporta Redattore sociale come in questi mesi Cattaneo sia stata impegnata a Melilli nell’identificazione delle salme del naufragio del 18 aprile 2015, in cui persero la vita più di 800 persone. «Abbiamo portato avanti un esperimento pilota con l’ufficio per le persone scomparse cercando di identificare le vittime. La raccolta dei dati dei parenti è molto complessa, ma dopo la strage di Lampedusa abbiamo messo su una task force. È stato un momento unico che ha visto agenzie diverse lavorare in perfetta sinergia. Dieci università, la squadra mobile, il Miur, la conferenza dei rettori e tanti altri, insieme abbiamo dimostrato nuovamente che questa cosa si può fare. Cercheremo di creare un’infrastruttura per raccogliere tutti i dati in maniera garantita e certificata. Chiaramente abbiamo di fronte anche tanti vuoti normativi e un problema di sostenibilità economica, perché finora tutte le spese sono state a carico di chi ci sta lavorando. L’Europa deve fare la sua parte, perché questi morti non sono solo dell’Italia», che altrimenti rischia di rimanere sola.

«Purtroppo i riconoscimenti delle vittime sono difficili perché dopo giorni in mare i volti sono sfigurati. Lo strumento scientifico documentato nel libro è senz’altro indispensabile. Accanto andrebbe posta un’azione di raccolta di informazioni, notizie, da parte dei familiari delle vittime morte in mare, anche per cercare di capire chi non è mai arrivato a destinazione» evidenzia Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre, associazione che ha tra i suoi obiettivi proprio quello del riconoscimento delle vittime nel Mediterraneo. «Creare una rete, avere una sede unica cui i familiari dall’Italia e dall’Europa possano rivolgersi è essenziale per ottimizzare il metodo scientifico strutturato», per restituire, almeno, l’identità.

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