Di Ilvo Diamanti
L’immigrazione ormai accompagna la nostra vita, le nostre giornate. È un capitolo importante e ricorrente dello “spettacolo della vita”, che scorre sugli schermi e sulle pagine dei media. Senza soluzione di continuità. D’altronde, i flussi di migranti non cessano, soprattutto dalle coste nord africane. E gli sbarchi proseguono, frequenti. Come le tragedie delle imbarcazioni che si inabissano. E lasciano affondare il loro carico di vite – meglio, peggio: di morte – in fondo al mare. Divenuto, ormai, un cimitero senza lapidi. Senza lacrime. Perché ormai ci siamo abituati alle tragedie. E non ci impressionano più di tanto. D’altronde, come piangere vittime senza volto e senza nome?
Tragedie riassunte in numeri, per quanto enormi, ma prive di identità? Questo, probabilmente, è uno dei “volti” più inquietanti di questo grande eccidio, che si ripete, un giorno dopo l’altro. Il rischio, per tutti, per ciascuno di noi, dell’indifferenza. Di perdere il senso della pena e del dolore. Senza perdere, però, la paura. Nel mese di aprile 2016, in Italia, l’indice di preoccupazione verso gli immigrati più elevato dal 2010: 41% (Sondaggio Demos per “La Repubblica”). Per un confronto, nell’aprile 2010, lo stesso indice era di 10 punti più basso.
Negli ultimi anni, gli immigrati e l’immigrazione, assai più del Paese, hanno “invaso” i media. Le prime pagine dei giornali e dei telegiornali. Immigrati e immigrazione hanno occupato anche la comunicazione sui social media, Fb e Twitter. Insomma, sono divenuti un tema dominante e ricorrente, di cronaca e di dibattito pubblico. Sul piano politico e sociale. Il 2016, sotto questo profilo, è l’anno della “grande immigrazione” sui media. Visto che la frequenza degli articoli e dei titoli sull’argomento ha mostrato un aumento di oltre il 10%, rispetto al 2015. Quando si era verificata la crescita più significativa osservata da quando abbiamo avviato questo Osservatorio. Nell’ultimo anno, infatti, i servizi dedicati all’argomento nei tg sono 2.954, con una media di quasi 10 notizie al giorno.
Gli immigrati e l’immigrazione, quindi, oggi sono divenuti un “luogo comune” della nostra informazione quotidiana. E per questo può stupire e sorprendere la distanza che emerge tra la “frequenza” degli articoli e dei titoli sull’argomento, da un lato, e il “volume” con cui vengono presentati, dall’altro. Alta frequenza e basso volume. Perché gli sbarchi continui dell’immigrazione sui media non sono accompagnati da rumore, anzi: clamore; e non vengono sottolineati con toni ostili, comunque, con fragore. Al di là, ovviamente, delle differenze di testata, la “grande immigrazione”, l’invasione degli immigrati sui media, nell’ultimo anno, sembra, piuttosto, presentarsi nel segno della “normalità”. In altri termini appare un fenomeno “normale”, nella sua costante crescita.
L’immigrazione ha uno spazio fisso, anche se variabile per evidenza, nelle prime pagine dei giornali e nei titoli di apertura dei tg nazionali di prima serata. Non solo, ma è spesso veicolata da altre voci e dalle voci di altri attori. Perché le polemiche e l’allarme, sui migranti, non sono cessati.
Non si sono spenti. Ma sono espressi e amplificati non tanto dai media e dai “mediatori”, cioè, i giornalisti. Ma, piuttosto, dagli esponenti politici e di partito. Perché l’immigrazione resta ancora,anzi, diventa sempre più, un tema polemico del dibattito politico. Seppure assumendo significato diverso e opposto. Gli immigrati sono gli “altri” di cui diffidare. Oppure, al contrario, da accogliere.
Una minaccia oppure, al contrario, una risorsa. Causa di insicurezza o, al contrario, sostegno alla nostra economia, alle nostre imprese, alle nostre famiglie. D’altronde, in un terzo dei servizi tv che si occupano di immigrazione interviene anche un soggetto politico istituzionale. E se si considerano anche gli esponenti europei, la presenza di figure politiche e istituzionali si allarga ben oltre il 50%. In altri termini, in oltre metà dei casi, il tema dei migranti e dell’immigrazione è affrontato in chiave politica europea, con il contributo di politici europei – e, dunque, anche italiani.
È per questo che l’allarme verso l’immigrazione e gli immigrati, sui media, si è progressivamente stemperato. Sui media, più che nella società. Perché si tratta ormai di “un’emergenza normale”.
Dunque, non più di un’emergenza, ma di una “questione”. Politica, prima che sociale. E ciò spiega, in parte, l’allentarsi dell’ostilità sollevata dall’argomento. Perché, sul piano della comunicazione, l’immigrazione si è, ormai, normalizzata. Mentre il ri-sentimento viene intercettato, in misura maggiore, dalla politica e dai politici. Gli immigrati sono il bersaglio privilegiato e ricorrente delle campagne mediali, che intuiscono e riproducono, amplificate, le correnti d’opinione.
Naturalmente, non possiamo sentirci sollevati se – e perché -l’immigrazione viene utilizzata e amplificata di meno, sui media. Per assuefazione. Perché viene strumentalizzata da un soggetto ancor più impopolare e inquietante come la “politica politicante”.
Va sottolineato, ancora, come, a differenza del passato, il rapporto fra immigrati e insicurezza si sia, in parte, rovesciato nella narrazione mediale. In quanto, spesso, i media si sono occupati e si occupano degli immigrati non come autori, ma come vittime di violenze e discriminazioni.
Conviene invece “vegliare” e “sorvegliare”, con cura, perché il ri-sentimento e lo spirito aggressivo non si riproducano altrove. Più feroci. In primo luogo – sottolinea questo rapporto – sui social media e sulla rete. Soprattutto su Twitter. Dove il linguaggio si estremizza. Il dialogo sfocia in conflitto verbale aperto. A colpi di insulti razzisti e sessisti violenti. Mentre le opinioni degenerano in un conflitto virtuale fra posizioni e parti diverse e opposte. Così le vittime diventano carnefici, le violenze vengono giustificate come atti di legittima difesa. Preventiva. Singoli atti e singoli responsabili diventano simboli estesi e generalizzati a interi gruppi. Intere categorie. Profughi, africani, nigeriani e, infine, gli immigrati tutti. Stigmatizzati senza distinzione.
Questa “degenerazione” comunicativa sottolinea l’importanza di analizzare il linguaggio e i temi impiegati dai media con attenzione e distinzione. Perché la comunicazione e i messaggi – per echeggiare un’affermazione di Marshall McLuhan nota e abusata – si intrecciano con i media. I media, insomma, sono (e determinano) i messaggi. Ma per questo abbiamo bisogno di leggere e decifrare i messaggi con attenzione. Perché i differenti media ri-producono i messaggi in modo diverso. Diversi media producono diversi messaggi, anche quando il contenuto è lo stesso.
La distinzione più importante, come abbiamo visto, riguarda i media tradizionali e nuovi. Perché si traduce nella distinzione fra comunicazione mediata (dai media e dai mediatori) e immediata.
Orizzontale, espressa direttamente dagli attori, dalle persone. Senza filtro. È qui che la comunicazione rischia di diventare più violenta e discriminante, quando si parla di immigrazione. Ed è qui che conviene, anzi, è necessario porgere maggiore attenzione. Esercitare maggiore sorveglianza.
Sorvegliando i sorveglianti. Visto che i social media e la rete sono considerati canali di sorveglianza nei confronti del potere. Per questo, in futuro, appare utile, anzi, necessario articolare maggiormente l’analisi della presenza degli immigrati sui media. Sui diversi canali di informazione. Per evitare la scissione osservata quest’anno fra la normalizzazione dell’immagine degli immigrati sui media tradizionali, da un lato, e la loro estremizzazione sui media nuovi e immediati, dall’altro. Una tensione che rischia, peraltro, di riprodursi sui diversi ambienti sociali, sui diversi pubblici che accedono ai media nuovi e tradizionali. Favorendo, paradossalmente, la diffusione di atteggiamenti intolleranti fra le componenti più giovani, istruite. Socializzate alla comunicazione digitale.
Oltre a esercitare adeguate forme di sorveglianza, comunque necessaria, il problema vero, a nostro avviso, è rendere evidenti queste tendenze della comunicazione in tema di immigrazione. Per consentire a tutti di avere la possibilità di agire e intervenire. In modo consapevole. Perché è difficile, impossibile, azzerare il razzismo e neutralizzare i razzisti. Ma è possibile, comunque renderli evidenti.
Poi, a ciascuno il compito di agire e reagire di conseguenza.
Ilvo Diamanti
Per leggere e/o scaricare il IV Rapporto Carta di Roma su media e immigrazione clicca qui.
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