Un articolo della cronaca milanese del quotidiano Libero del 22 aprile, intitolato “L’esercito dei vu’ cumprà invade il centro”, ci riporta indietro di almeno 15 anni, quando termini come vu’ cumprà comparivano spesso nei media italiani alle prese con i primi arrivi massicci di stranieri e migranti. Un termine che, secondo leggende metropolitane, potrebbe essere nato sulle spiagge marchigiane dove in dialetto “Vuole comperare?” si dice proprio “Vu’ cumprà!”. Ricerche etimologiche a parte il termine voleva sottolineare, con intento discriminatorio, la scarsa padronanza della lingua italiana da parte dell’ambulante, evidenziandone una presunta ignoranza. Il tutto alzando barriere, fomentando razzismo e xenofobia. Per fortuna negli anni a seguire l’intervento di esperti, associazioni impegnate nel settore dell’integrazione e degli organismi di categoria ha contribuito a cambiare usi e costumi di questo tipo di giornalismo dettato a volte da un po’ di cialtronaggine, spesso e volentieri da tanto menefreghismo. Per rispondere ai pochi ma rumorosi che difendono la scelta dell’utilizzo di termini “non politicamente corretti” come clandestino, vu’ cumprà, extracomunitario, nomade e zingaro parlando di termini che descrivono comunque la realtà, forse in maniera un po’ colorita ma “simpatica” non resta che riportare alla mente le usanze di certa stampa degli anni Sessanta che utilizzava tranquillamente il termine “terrone” quando parlava dei meridionali. Probabilmente oggi sarebbero in molti ad insorgere scandalizzati…ma allora perché quando si parla di stranieri siamo più tolleranti? La paura del “diverso” fa sempre la differenza? E il termine vu’ cumprà è stato scritto solo per ignoranza e menefreghismo o per chiara scelta politica? Basta ipocrisie, i germi dell’intolleranza – lo sanno bene, tra i tanti, anche i meridionali – crescono e si riproducono grazie all’uso delle parole e alla loro rappresentazione distorta della realtà.
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