Ha dichiarato Daniela De Robert, membro Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale: «L’ambito di privazione delle libertà delle persone migranti prendo spunto dal disallineamento evidenziato tra la presenza nei centri per i rimpatri (CPR) e i rimpatri forzati effettivamente realizzati. Tale discrasia non è una novità: la bassa percentuale di persone trattenute nei centri che viene effettivamente rimpatriata si è attestata in maniera abbastanza stabile negli anni intorno al 50% con un picco minimo, con il 43%, nel 2018, e un picco massimo del 59% nel 2017. Una stabilità che si mantiene a prescindere dalla durata massima di trattenimento stabilita dalla legge che si è modificata nel corso degli anni, passando da un minimo di 30 giorni fino ai sei mesi attuali.
Nei primi mesi del 2020 tale questione ha assunto un particolare e differente profilo a seguito della chiusura delle frontiere a seguito dell’emergenza Covid-19, e quindi della impossibilità concreta di realizzare i rimpatri. Il problema che si è posto non riguarda più l’efficacia del sistema ma la stessa legittimità di un trattamento amministrativo all’interno dei centri per i rimpatri in un momento in cui non vi è alcuna possibilità di allontanamento entro i termini previsti dalla legge almeno per una parte delle persone ristrette. L’applicazione o il mantenimento della misura restrittiva in questa situazione può apparire infatti priva di un suo necessario presupposto di legittimità, cioè la realizzabilità del rimpatrio, ai sensi dell’art. 16, comma 4 della stessa direttiva rimpatri dell’Unione europea che prevede che quando risulta che non esista più alcuna ragionevole aspettativa di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata immediatamente rilasciata. Con la riapertura delle frontiere nei recenti giorni passati tale situazione non è più al momento in atto ma è bene continuare a riflettere sul tema nella ipotesi non auspicabile di un suo possibile riproporsi. Va detto anche che se non vi è stata una decisione centrale per rispondere al problema come invece è avvenuto in altri paesi, il numero delle presenze nei CPR è diminuito progressivamente durante il periodo più critico della pandemia, passando dalle 514 presenze di gennaio alle 170 del 4 giugno».
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Piera Francesca Mastantuono
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