A cura di Valentina Loiero
Mi si chiede spesso se e quali danni possa fare la stampa in tema di immigrazione. E ahimè con molto rammarico, parlando prima di tutto da giornalista, devo constatare che la lista si allunga giorno dopo giorno. Ma sarebbe fuori strada chi immaginasse che a sbagliare siano soltanto certi giornali, le testate cioè che hanno trattato in maniera politicamente scorretta l’immigrazione in Italia sposando troppo spesso la linea della Lega ad esempio. Purtroppo gli “errori di stampa” quando si tratta di migranti (che siano regolari o irregolari, migranti economici o rifugiati politici) li fanno tutti, nessuno escluso.
Parto dalla fine: su La Repubblica di oggi (domenica 15 luglio) in prima pagina c’è un bellissimo pezzo di Gianpaolo Cadalanu, da Berlino. Il tema è il trattamento che l’Italia riserva a rifugiati e richiedenti asilo. Un trattamento definito “degradante” dalla Germania. Ecco perché un tribunale di Stoccarda ha bloccato il rinvio in Italia di una famiglia di richiedenti asilo palestinesi e ha deciso di esaminare nel proprio Paese l’istanza per la concessione dello status da rifugiato. Motivo? In Italia i richiedenti asilo subiscono trattamenti «mortificanti e degradanti» e conducono «una vita sotto il livello minimo di sussistenza».
Una denuncia importante, ben documentata e di alto valore civile, quella di Repubblica, che nel pezzo spiega per filo e per segno quali siano gli standard, assolutamente inadeguati, che il nostro paese riserva a chi viene da noi a chiedere un diritto garantito dalla Costituzione oltre che dalle Convenzioni internazionali: il diritto d’asilo.
Bene, perché mi soffermo su questo articolo che non sembra contenere alcun “errore di stampa”. Perché purtroppo non è così, come dimostra il titolo di prima pagina: «Clandestini, Italia disumana. La Germania blocca i rinvii».
In sostanza il giornale denuncia il trattamento disumano dell’Italia verso i rifugiati, ma gliene riserva uno giornalisticamente altrettanto degradante. Come altro definire l’uso del termine “clandestino”, sparato nel titolo di prima pagina? Mi chiedo e vi chiedo: esiste una parola più fuorviante, più ricca di pregiudizio della parola “clandestino”? Peraltro la famiglia in questione di “clandestino” non sembra avere proprio nulla: alla luce del sole ha fatto domanda d’asilo. Certo, padre, madre e tre bambini, hanno viaggiato senza documenti, il che ha reso irregolare la loro posizione amministrativa. Ma, ancora, mi chiedo e vi chiedo: avete mai visto un rifugiato che viaggia con il passaporto? I nostri padri della patria, i partigiani italiani esuli in Francia, ad esempio, pensate che siano fuggiti con i documenti in mano? Essere richiedente asilo e avere il passaporto o qualunque altra forma di visto è una contraddizione in termini.
Tutto questo per dire che definirli “clandestini” è sostanzialmente sbagliato oltre che fuorviante. Con quel titolo Repubblica di fatto ha vanificato il pregevole lavoro del collega Cadalanu, così come ha vanificato l’apprezzabile scelta di denunciare in prima pagina il modo in cui il nostro Paese tratta i migranti.
Ma non è finita: pochi giorni fa è stato intervistato a volto scoperto e fornendo le generalità complete, l’unico sopravvissuto al naufragio di un gruppo di 55 migranti. Erano partiti dalla Libia diretti in Italia alla fine di giugno e sono rimasti alla deriva per circa due settimane. Solo un ragazzo eritreo si è salvato e, dall’ospedale tunisino in cui è ricoverato, ha raccontato la sua storia. Pochi giorni dopo il suo salvataggio sono andati a trovarlo alcuni attivisti di Boats People, l’imbarcazione che fa riferimento ad un cartello di ong internazionali, in questi giorni in giro per il Mediterraneo. Si presuppone che gli attivisti dei diritti umani sappiano a quale rischio possano esporre un cittadino eritreo fuggito dal regime, se ne mostrano il volto. Eppure è proprio questo che hanno fatto. Un comportamento che definire scorretto è poco, stigmatizzato anche dall’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). La portavoce in Italia, Laura Boldrini, ha scritto una dura lettera alle redazioni che l’hanno pubblicato. Eccone uno stralcio:
«Come ben noto, la situazione politica eritrea attuale è alquanto complessa e numerose organizzazioni internazionali registrano e denunciano gravi violazioni dei diritti umani. Molti rifugiati eritrei che raggiungono stati terzi sono ragazzi che fuggono dal paese per sottrarsi all’arruolamento forzato e di durata indeterminata imposto al compimento del sedicesimo anno. Già in passato, ci sono stati episodi in cui, a seguito di immagini e foto rese pubbliche nei media, i rifugiati eritrei hanno subito gravissimi danni, direttamente o indirettamente attraverso ritorsioni dei familiari rimasti in Eritrea.
Nonostante il rilascio di una liberatoria, in questi casi è comunque opportuno oscurare il volto degli intervistati e non diffondere le generalità complete, così da tutelarne la sicurezza. Infatti, chi proviene da contesti socioculturali diversi, nei quali il ruolo dei mezzi di informazione è limitato e circoscritto, potrebbe non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze dell’esposizione attraverso i media.
Mi auguro pertanto che le immagini riguardanti richiedenti asilo, rifugiati, migranti e vittime di tratta visibili sul suo sito – oggi come in futuro – siano trattate con la massima attenzione, come peraltro ribadito nei principi della Carta di Roma, Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, sottoscritta dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana».
Non tutti hanno rimosso il video – Repubblica e Corriere sì, e va loro dato atto- ma soprattutto va specificata la situazione attuale del giovane sopravvissuto. Da quando ha visto il video è completamente terrorizzato per le ripercussioni che tutto ciò potrà avere sulla sua famiglia rimasta in Eritrea.
È chiara l’entità del rischio al quale è stato sottoposto? Quanto grave e irreparabile possa essere un “errore di stampa” quando si ha a che fare con i diritti umani?
Mi è sempre riuscito particolarmente difficile capire perché, ad esempio, i giornalisti italiani siano pronti ad oscurare il volto di un pentito di mafia, in ossequio alle esigenze di sicurezza dell’uomo che è sotto protezione, e non debbano porre la stessa attenzione quando il volto da camuffare è quello di un rifugiato politico.
Valentina Loiero – presidente Associazione Carta di Roma
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