Com’è cambiato il racconto delle operazioni di ricerca e soccorso in mare (Sar) negli ultimi mesi, quasi una ridefinizione del senso delle parole che si accompagna a una perdita di fiducia nei confronti delle Ong
La narrativa mediatica della ricerca e del soccorso in mare ha subito una significativa trasformazione dal 2016 a oggi, che, tra gli effetti, ha contribuito a creare un clima di sfiducia nei confronti delle organizzazioni umanitarie. È quanto emerge dall’incontro che si è svolto a Ferrara tra Medici senza frontiere (Msf), Associazione Carta di Roma e il giornalista Christian Raimo.
Rispetto a quanto rilevato nel rapporto “Navigare a vista” gli eventi degli ultimi mesi confermano un cambiamento nel racconto della ricerca e al soccorso in mare. La nuova narrazione che si impone è quella del sospetto nei confronti delle Ong, che vengono accusate indistintamente di collusione nei confronti dei trafficanti. Un’ombra negativa che spazza via l’alone di positività che aveva caratterizzato l’immagine delle operazioni Sar degli anni precedenti. Si genera una percezione di opacità che, a sua volta, si alimenta nella sovraesposizione mediatica, nella confusione fra soggetti, ruoli e responsabilità, nella concitazione del dibattito politico. Il racconto dei protagonisti del soccorso, dei testimoni diretti, e quello offerto dai media divergono, lasciando nello spettatore un senso di incertezza che produce diffidenza. Il tutto confluisce in una azione che Gabriele Eminente, direttore generale di Medici senza frontiere, definisce “criminalizzazione della solidarietà”.
La mappa delle parole e la percezione delle Ong
In questo clima si registra un calo della fiducia nei confronti delle organizzazioni non governative che, secondo il sondaggio realizzato dal politologo Ilvo Diamanti, vedono diminuita la propria credibilità tra i cittadini. Non solo, si attua una sorta di de-semantizzazione della definizione di Ong, come se le organizzazioni non governative fossero altra cosa rispetto alle associazioni, come se le loro finalità e i loro modi di agire fossero differenti da quelle del mondo dell’associazionismo in generale.
La mappa delle parole, realizzata, all’inizio di agosto, da Ilvo Diamanti suggerisce che solo un terzo di coloro che dimostrano confidenza verso la parola “volontariato” hanno fiducia nella parola Ong. Non solo: mentre il volontariato – e le associazioni in generale – viene accostato alle parole “cuore” e “speranza”, le Ong sono accostate allo “Ius soli” e al “respingere gli immigrati”. L’agenda mediatica segue di pari passo questo trend: nel mese di agosto i telegiornali di prima serata dedicano in media 7 notizie al giorno al tema del soccorso in mare (le accuse di collusione e il sequestro della Juventa), una media di 1 notizia a notiziario.
Questo cambiamento di narrazione ha un effetto anche sulla visibilità dei protagonisti del soccorso (Ong e migranti/rifugiati): un anno fa, le voci dei protagonisti del soccorso sono presenti nel 27% dei servizi, nell’agosto del 2017 “crollano” al 4%. Le “narrazioni tossiche” – come afferma Christian Raimo – per essere debellate necessitano di azioni congiunte: della politica, dei media e della società civile. Lo sforzo delle organizzazioni umanitarie e del mondo del giornalismo è di continuare a svolgere le azioni con imparzialità, di raccontare il fattore umano e di ricostruire i fatti.