Marino abolisce l’uso del termine “nomade” nel linguaggio istituzionale. Ed è subito polemica
Il nomadismo nelle popolazioni rom e sinti, è nettamente minoritario. Si parla del 2-3% su una popolazione complessiva di circa 150-170mila persone.
Le cifre possono leggermente variare perché la minoranza rom e sinta è una realtà eterogenea che comprende cittadini italiani, europei, extra europei, migranti o appunto sinti che giunsero tra l’Ottocento e il Novecento da regioni germanofone e si stabilirono soprattutto nelle nell’Italia settentrionale.
Negli ultimi giorni la decisione del sindaco di Roma Marino di emanare una circolare per la sostituzione del termine “nomadi” dagli atti dell’amministrazione comunale è stata ripresa dai giornali locali e nazionali con toni ed enfasi diverse, ma quasi unanimemente critiche.
Si è parlato addirittura di dittatura del politicamente corretto o di gaffe e errore sostanziale nel volerlo rimuovere. Se notiamo i titoli e gli articoli della rassegna Carta di Roma è facile notare come la parola “nomade” sia usata prevalentemente come sinonimo di rom e associata alla questione dei cosiddetti campi nomadi.
Come è stato sottolineato da Mastroantonio in un suo articolo sulle pagine del Corriere della Sera («Nomadi, linguaggio che cambia») il termine non è di per sé dispregiativo – come invece il termine “zingari”, un eteronimo che queste comunità percepiscono perlopiù come offensivo. È chiaro però che l’abbandonare l’uso del termine non solo risponde ad un’esigenza di maggiore corrispondenza con la realtà sostanziale dei fatti e dei numeri in questo caso. Ma rimuoverlo dagli atti dell’amministrazione comunale vorrà dire, anche per noi giornalisti, il venir meno del richiamo alla fonte istituzionale per legittimare l’uso di termini impropri.
Per la rassegna completa sull’abolizione dell’uso di “nomade” da parte di Ignazio Marino clicca qui.