“Sono stato vittima di una violenza istituzionale. Quello che mi è successo è illegale, un giornalista privato della libertà mentre sta svolgendo un lavoro in un Paese amico. Un pensiero caro a tutti i detenuti e ai giornalisti che in Turchia e in altri Paesi sono in condizioni peggiori della mia. Ora vado a mangiare, dopo sette giorni di sciopero della fame ne ho bisogno – ha aggiunto sorridendo – Ancora non ho capito perché sono stato fermato. Ci tengo a dirlo che non mi è stato torto un capello e nessuno mi ha mai mancato di rispetto. Sono stato fermato da agenti in borghese. Ho saputo che sarei stato liberato stanotte”. Queste le parole di Gabriele Del Grande al suo arrivo in aeroporto, a Bologna, questa mattina.
Ad annunciare la liberazione e il rientro del blogger e documentarista, arrestato dalle autorità turche nel sud del paese il 9 aprile scorso mentre lavorava al suo prossimo libro, “Un partigiano mi disse”, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che alle 7.31 di oggi ha twittato:
1/2 Gabriele Del Grande è libero.Gli ho parlato adesso sta tornando in Italia.Ho avuto la gioia di avvisare i suoi familiari.Lo aspettiamo. — Angelino Alfano (@angealfa) 24 aprile 2017
1/2 Gabriele Del Grande è libero.Gli ho parlato adesso sta tornando in Italia.Ho avuto la gioia di avvisare i suoi familiari.Lo aspettiamo.
— Angelino Alfano (@angealfa) 24 aprile 2017
Del Grande si trovava in Hatay, vicino al confine con la Siria, per intervistare i rifugiati in fuga dal conflitto esploso nel 2011. Qui è stato prelevato dalle autorità turche, come ha riferito alla famiglia nella prima telefonata che gli è stata concessa, il 18 aprile: “Sto parlando con quattro poliziotti che mi guardano e ascoltano. Mi hanno fermato al confine, e dopo avermi tenuto nel centro di identificazione e di espulsione di Hatay, sono stato trasferito a Mugla, sempre in un centro di identificazione ed espulsione, in isolamento. I miei documenti sono in regola, ma non mi è permesso di nominare un avvocato, né mi è dato sapere quando finirà questo fermo. Sto bene, non mi è stato torto un capello ma non posso telefonare, hanno sequestrato il mio telefono e le mie cose, sebbene non mi venga contestato nessun reato. La ragione del fermo è legata al contenuto del mio lavoro. Ho subito ripetuti interrogatori al riguardo. Ho potuto telefonare solo dopo giorni di protesta. Non mi è stato detto che le autorità italiane volevano mettersi in contatto con me. Da stasera entrerò in sciopero della fame e invito tutti a mobilitarsi per chiedere che vengano rispettati i miei diritti”.
A partire da questo messaggio si moltiplicano in Italia le mobilitazioni con cui viene chiesto il rilascio del giornalista, che finalmente il 21 aprile riesce a incontrare il console italiano a Smirne, Luigi Iannuzzi e l’avvocato turco Taner Kilic.
Si stima che in Turchia siano attualmente detenuti oltre 150 operatori media: il 2 maggio la Fnsi sarà in piazza per dire no al bavaglio turco alla vigilia della Giornata mondiale per la libertà di stampa.
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