Attacchi di Parigi. Uno sguardo alla copertura mediatica internazionale
A quasi due settimane di distanza dagli attacchi di Parigi, traduciamo e pubblichiamo un articolo del Media Diversity Institute che fa il punto sul modo in cui media a livello internazionale hanno trattato l’argomento e su cosa avrebbero potuto fare di diverso (l’originale è qui). Nel testo alcuni link a interessanti pezzi sull’argomento.
Attentati di Parigi. Quello che i media avrebbero potuto fare differentemente
A cura del Media Diversity Institute
Doppi standard, retorica anti-musulmana, generalizzazioni e paura diffusa dalle prime pagine. Queste sono state, per alcuni dei maggiori gruppi editoriali – così come per i tabloid – ragioni di critica dopo il 9/11 negli Stati Uniti.
Trattando gli attacchi di Parigi, alcuni hanno fallito nella pratica di un giornalismo deontologicamente corretto, non hanno verificato i fatti e non si solo limitati a citare fonti autorevoli, riportando anche le affermazioni di coloro che promuovono xenofobia, odio e discriminazione.
La copertura degli attacchi di Parigi sarebbe dovuta essere diversa rispetto a quanto abbiamo visto con la guerra in Iraq, il conflitto n Ucraina e la “crisi rifugiati”. La maggior parte dei redattori e dei reporter avrebbe potuto evitare il ripetersi di un approccio monolitico nei confronti della popolazione musulmana, come quello della Cnn, che ha attribuito una responsabilità collettiva degli attacchi durante un’intervista con un attivista musulmano di Parigi, che lotta contro l’islamofobia.
«È assolutamente spaventoso il clima emerso sulla scia di Parigi: un’estrema ostilità contro i musulmani che, da un punto di vista storico, abbiamo visto già in passato e che è preoccupante e pericolosa», osserva il premio Pulitzer Glen Greenwald.
Il quotidiano italiano Libero è stato citato in giudizio a causa del titolo in prima pagina “Bastardi Islamici”, mentre l’organo che vigila sulla stampa nel Regno Unito ha ricevuto un numero record di reclami a causa dell’affermazione del tabloid inglese Sun secondo cui “1 musulmano inglese su 5 simpatizza per i jihadisti”. Come riporta l’Independent l’interpretazione dei dati fatta dalla testata è stata richiamata da molti critici, i quali hanno notato come un precedente sondaggio avesse mostrato che oltre il 30% dei non-musulmani esprimesse una certa simpatia per i giovani combattenti musulmani in Siria.
Il modo in cui alcuni musulmani potrebbero sentirsi leggendo titoli anti-islamici e editoriali islamofobi e pieni di generalizzazioni, potrebbe essere riassunto nel titolo del Guardian: “I media ci hanno bocciati: i musulmani inglesi nella copertura degli attacchi di Parigi”.
«I media hanno trattato questo tema con una certa sensibilità, ma i tabloid infondono costantemente paura verso l’Is e verso le tensioni causate dalla “crisi rifugiati” nell’Unione europea. Se i media continuano a incarnare tale negatività, vi sarà sicuramente un impatto sulla comunità musulmana», spiega il 35enne Jo, del Guardian.
Una delle questioni sollevate sulla copertura mediatica degli attacchi di Parigi riguarda il motivo per cui le stesse testate non abbiano prestato una simile attenzione agli attacchi di Beirut che hanno ucciso 43 persone il giorno prima. «Nessun monumento in Europa è stato illuminato con il tricolore della bandiera libanese, Facebook non ha attivato alcun controllo sulla condizione di sicurezza dei residenti di Beirut, né la possibilità di applicare un filtro coi colori libanesi sulla foto profilo. Non molti capi di stato occidentali si sono sentiti in obbligo di porgere pubbliche condoglianze al Libano, un paese con 4 milioni e 400mila cittadini che ospita oltre un milione di rifugiati siriani», scrive Adam Rasmi, reporter di Beirut, sulla London Review of Books.
«Il problema in questo dibattito è che si semplifica la realtà per quanto riguarda il modo in cui sono giudicate le notizie», si legge sulla Columbia Journalism Review, che spiega come le testate abbiano degli obblighi nei confronti del pubblico. La Columbia Journalism Review riporta che «vi è stato un pezzo sull’attacco Isis in Libano che ha guadagnato oltre 210,000 condivisioni sui social media fino a martedì, 5 volte di più rispetto alle quattro storie su Parigi che erano state pubblicate».
Non solo le linee editoriali e deontologiche, ma anche il linguaggio è stato al centro dell’analisi. Alcuni media mainstream – tra questi spicca il New York Times – hanno descritto il quartiere di Beirut dove l’attentato mortale ha avuto luogo come una “roccaforte di Hezbollah”.
Il New York Times ha in seguito cambiato il titolo, oggetto di dibattito e critiche. «Non è un modo neutrale di descrivere un quartiere abitato da civili che è appena stato bombardato. Implica che i civili lì residenti facciano parte delle milizie», sottolinea il Washington Post concludendo che «di solito non critichiamo i valori culturali o le misure di sicurezza del posto che è stato appena attaccato. Al contrario, parliamo delle vittime e così dovremmo fare per ogni città».