In occasione delle celebrazioni del primo anniversario della strage di Lampedusa, Carta di Roma ha diffuso una nota – rilanciata subito dal Comitato 3 ottobre – per ricordare a tutti gli organi di informazione il punto c) del protocollo deontologico: l’obbligo di tutelare l’identità dei richiedenti asilo, dei rifugiati e delle vittime della tratta per evitare ritorsioni contro loro stessi e contro i loro familiari. Una necessità nel caso specifico rafforzata dalla presenza a Lampedusa di superstiti e familiari delle vittime di origine eritrea, cioè cittadini di un Paese che pratica in modo sistematico questo genere di ritorsioni.
Il giorno dopo la diffusione della nota, il nostro invito è stato disatteso in modo plateale attraverso la pubblicazione di una fotografia di Papa Francesco circondato da familiari delle vittime e superstiti. Una foto di gruppo dove è possibile vedere (e individuare benissimo) una trentina di cittadini eritrei. La foto è stata pubblicata da tutti i principali quotidiani di carta e nel web. Ancora adesso è facilissimo vederla digitando poche ovvie parole chiave in qualunque motore di ricerca.
La violazione del codice deontologico è evidente e clamorosa. Ma il contesto in cui è avvenuta ci offre uno spunto per una riflessione sull’applicazione delle regole e sul significato e le ragioni originarie della Carta di Roma. Un codice deontologico dinamico, che dà indicazioni da applicare con buon senso. Tenendo conto del fatto che la realtà non solo è complessa, ma è in continuo movimento.
Noi non sappiamo se quanti hanno diffuso quella foto (e le autorità vaticane che hanno consentito che fosse scattata) abbiano valutato che mettevano a rischio le persone ritratte e i loro familiari che si trovano in Eritrea. Chiederemo chiarimenti su questo punto. Ma, in attesa di questi chiarimenti, vogliamo sperare che questa valutazione sia stata fatta. E si sia ragionato così.
«È vero che il regime eritreo colpisce quanti sono fuggiti dalla dittatura e i loro familiari. Ma, in questo caso, abbiamo ritenuto che mai si potrà spingere fino al punto di colpire persone ritratte accanto al Santo Padre. Anzi, riteniamo che il fatto di comparire in quella fotografia crei una sorta di ‘assicurazione’ sulla vita e sull’incolumità delle persone fotografate e delle loro famiglie. Perché se dovesse giungere notizia di una sola ritorsione, lo scandalo sarebbe mondiale. E il regime eritreo subirebbe sanzioni, morali e anche economiche, che lo metterebbero ancor più di quanto è già ai margini del mondo civile e democratico. Dunque vigileremo, manterremo contatti con ciascuna delle persone ritratte. Quelle persone, e i loro familiari, sono tutelate dal Vaticano e da tutte le democrazie occidentali»:
Ecco, ci auguriamo che si sia ragionato così. Anche se molti fatti lo smentiscono. Infatti l’immagine col Papa non è l’unica, tra quelle diffuse in questi giorni, dove è possibile riconoscere dei rifugiati eritrei.
Qua non si tratta di un problema di linguaggio, di “politicamente corretto”. Il punto c) della Carta di Roma enuncia una norma di puro buon senso. È una norma a tutela dell’incolumità fisica dei rifugiati e dei loro familiari. Chi la viola si assume una responsabilità gravissima.
Giovanni Maria Bellu
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