Rilanciamo l’intervista rilasciata da Filippo Grandi, nuovo Alto commissario per i Rifugiati delle Nazioni unite, a Repubblica pochi giorni dopo l’ultimo vertice europeo durante il quale si è discusso anche di politiche migratorie.
Di Vladimiro Polchi, per Repubblica
«Nell’emergenza rifugiati l’Europa sta perdendo se stessa. I bambini morti nel mare Egeo sono uno scandalo che chiama in causa la mancanza di solidarietà di un continente intero, in cui crescono barriere ed egoismi». Filippo Grandi, 58enne milanese, da gennaio è il nuovo Alto commissario Onu per i rifugiati. Sul suo tavolo a Ginevra, giacciono i dossier più “caldi” dai fronti di crisi, a partire dalla Siria («Oggi una trappola dalla quale è quasi impossibile fuggire») e Turchia («paese in prima linea, che ospita oltre due milioni e mezzo di siriani»).
Commissario si aspettava di più dall’ultimo Consiglio europeo?
«L’Europa ha preso degli impegni che non sta mantenendo. Gli hotspot per l’identificazione di chi arriva non sono ancora pienamente in funzione. I ricollocamenti tra i vari paesi Ue dei rifugiati arrivati in Italia e Grecia sono ancora fermi. I rimpatri di chi non ha diritto all’asilo non funzionano. L’Europa è diventata un’autostrada e questo disordine allarma l’opinione pubblica».
Filippo Grandi, dal primo gennaio 2016 Alto commissario delle Nazioni unite per i Rifugiati
È preoccupato dal crescere dei muri alle frontiere dei paesi europei?
«Cominciamo a vedere sempre più sbarramenti che temiamo molto: l’Austria che fissa quote massime di ingressi, la Macedonia che respinge gli afghani. Sono cresciuto in un continente di frontiere chiuse, ora rischiamo di tornarci. L’Europa sta abdicando a un ruolo di guida internazionale e sta mettendo in discussione il suo stesso progetto originario. Invece nessuna guerra è troppo lontana da noi da non riguardarci. I rifugiati sono degli ambasciatori che stanno lì a ricordarcelo. I muri sono preoccupanti, anche perché rischiamo di isolare interi paesi».
Come Grecia e Italia?
«Soprattutto la Grecia. Domani (oggi, ndr) sarò ad Atene per una grossa operazione umanitaria dell’Unhcr. La Grecia rischia di diventare uno Stato isolato, in cui i rifugiati restano chiusi senza possibilità di uscire. L’Italia è un paese di frontiera: se riprenderà con forza la rotta del Mediterraneo centrale, il rischio è di diventare un “ricevitore” di migranti, senza grandi sbocchi esterni».
È giusto rivedere il trattato di Dublino?
«Che lo Stato competente alla domanda d’asilo sia quello in cui il rifugiato ha fatto il proprio ingresso nell’Unione europea è un modello vecchio che va indubbiamente superato».
Per arginare i flussi di migranti, la Ue fa bene a puntare sulla Turchia?
«La Turchia è uno degli Stati chiave di questa crisi. Non a caso è il paese che oggi ospita il numero più alto di rifugiati al mondo: due milioni e mezzo di siriani, più qualche migliaio di afgani e iracheni. Insomma, Ankara sta facendo la sua parte. Il piano d’azione Ue concordato a novembre va nella direzione giusta: controllo delle coste e delle partenze verso la Grecia, in cambio di tre miliardi di euro di fondi da destinare a progetti d’accoglienza per i rifugiati. E poi nuove vie legali d’uscita dal paese».
Ci spieghi meglio.
«Bisogna prevedere la possibilità per migliaia di profughi di lasciare la Turchia, ma anche altri paesi di transito come la Giordania e il Libano, e raggiungere in sicurezza gli Stati Ue dove riceveranno asilo».
Che ne è di questo piano?
«Non è ancora stato attuato. È urgente accelerare, anche perché intanto la Turchia ha quasi chiuso la sua frontiera con la Siria».
Qual è la situazione degli sfollati in Siria?
«Ci sono milioni di persone intrappolate. Certo le situazioni sono le più diverse, ma tutti sono ugualmente vittime di violenze inaudite. Le loro possibilità di fuggire sono minime. Senza un cessate il fuoco, poco si può fare. Ma c’è di peggio, ci sono situazioni quasi invisibili: parlo per esempio dei rifugiati della Repubblica Centrafricana o del Sud Sudan che neppure arrivano da noi, ma si fermano nei paesi limitrofi».
Questa ondata di migranti allarma l’opinione pubblica europea.
«Il disordine dell’attuale gestione giustifica questo allarme. La mancanza di coordinamento e solidarietà dà forza a chi vuole alzare le barriere».
C’è chi soffia sulle paure?
«In Europa ci sono parti politiche che stanno volutamente impaurendo i cittadini. E questo è gravemente irresponsabile. Altri per fortuna fanno il contrario».
La Germania?
«Senza la leadership tedesca, oggi l’Europa sarebbe ancora più chiusa. L’ho detto al telefono ad Angela Merkel. Ho molta ammirazione per lei, anche perché rischia l’isolamento. E un paese non può fare tutto da solo».
Cosa ha pensato quando ha letto del coinvolgimento di alcuni rifugiati nelle violenze di Colonia?
«Chiunque vive in un paese deve rispettarne le leggi, altrimenti deve essere perseguito, ma attenzione a generalizzare».
Non c’è comunque un problema di integrazione di queste masse di rifugiati?
«Due giorni fa ero in Germania. I tedeschi fanno grandi sforzi, ma l’integrazione costa molto. Una cosa è certa: una gestione ordinata dei profughi è la migliore ricetta per rassicurare l’opinione pubblica».
L’intervista è disponibile qui.
Nella foto: migranti forzati di fronte alla stazione di Keleti, Budapest, dove sono rimasti bloccati nel mese di settembre (2015).
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