Foto ©Unhcr/A. D'Amato
L’Alto commissariato per i Rifugiati delle Nazioni unite lo aveva annunciato il 22 marzo: «In linea con la politica dell’Unhcr, che si oppone alla detenzione obbligatoria, l’agenzia ha sospeso alcune delle sue attività nei centri chiusi sulle isole. Continueremo a effettuare attività di monitoraggio per garantire che gli standard in materia di diritti dei rifugiati e di diritti umani siano rispettati, e fornire informazioni sui diritti e le procedure per chiedere asilo».
A pochi giorni dall’annuncio dell’Unhcr anche Medici senza frontiere ridefinisce il suo ruolo in Grecia, ponendo fine alle sue attività nel hot-spot di Moria, nell’isola di Lesbo: «Abbiamo preso la difficile decisione di chiudere le nostre attività a Moria perché continuare a lavorare nel centro ci renderebbe complici di un sistema che consideriamo sia iniquo che disumano – ha dichiarato Michele Telaro, capo progetto di Msn a Lesbo – Non permetteremo che la nostra azione di assistenza sia strumentalizzata a vantaggio di un’operazione di espulsione di massa e ci rifiutiamo di essere parte di un sistema che non ha alcun riguardo per i bisogni umanitari e di protezione di richiedenti asilo e migranti».
Come e quanto gli hot-spot siano stati trasformati in Grecia, in seguito all’accordo tra Unione europea e Turchia, oggi è raccontato bene da Emanuele Confortin, che per il Manifesto dà voce ai rifugiati e ai migranti detenuti nel Blamari Camp, sull’isola di Samos:
«Siamo esseri umani ma ci trattano come animali. Questa è una prigione, aiutateci». È il messaggio lanciato da un gruppo di pachistani, afgani e migranti del Bangladesh reclusi da sabato nel Blamari camp dell’isola di Samos, a un miglio marino dalla costa turca. Quello che fino alla scorsa settimana era un centro di accoglienza cui si poteva accedere liberamente, è stato trasformato in hotspot a seguito dell’accordo tra Ue e Turchia. Di fatto è diventato una prigione. Il cancello è chiuso con un lucchetto, pertanto è impossibile entrare o uscire, nemmeno fuggire vista la doppia recinzione di rete metallica sormontata da una fitta corona di filo spinato. L’area è presidiata da agenti di polizia ed esercito ma nessuno sa di preciso chi abbia la responsabilità del campo, pertanto i militari si limitano ad allontanare il personale non autorizzato.
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Nell’immagine migranti e rifugiati sull’isola di Samos. Foto ©Unhcr/A. D’Amato
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