Di Daniele Biella su Vita.it
Alla richiesta di Carta di Roma, rete LasciateCIEntrare e Assostampa Sicilia si aggiungono il segretario generale di ActionAid e il reponsabile comunicazone di Save the children: “i giornalisti devono potere fare il loro lavoro. Ne va della trasparenza delle istituzioni, e il diniego potrebbe far pensare che ci sia qualcosa da nascondere in quei centri”
“È gravissimo che con rigore prussiano sia impedito l’accesso alla stampa negli hotspot, che così non può esercitare la sua funzione di controllo”. E’ forte e chiaro il messaggio lanciato da Giovanni Maria Bellu, presidente dell’associazione Carta di Roma, nel lanciare un deciso appello al ministero dell’Interno: “si autorizzino gli ingressi, si tratta di diritto di cronaca”.
L’appello viene lanciato in congiunto da Carta di Roma, Rete LasciateCIEntrare e Assostampa Sicilia. “Il diniego sistematico di accesso della stampa ai centri di identificazione in cui vengono trasportati i migranti subito dopo lo sbarco non rende possibile alcuna forma di documentazione giornalistica all’interno degli stessi centri, e diviene di fatto una censura sia per gli organi di stampa, che per la società civile che per l’opinione pubblica in generale“.
La stessa società civile si aggiunge alla richiesta, a cominciare da due ong di portata internazionale come Action Aid e Save the children: “è sacrosanto chiedere che venga permesso ai giornalisti di entrare negli hotspot: le ragioni del divieto sono incomprensibili, così come lo erano quelle che non permettevano l’ingresso nei Cie, Centri di identificazione ed espulsione”, sottolinea Marco De Ponte, segretario generale di Action Aid Italia. Nel 2012, dopo molteplici richieste cadute nel vuoto, era arrivata addirittura una sentenza del Tar del Lazio per annullare il divieto ministeriale, garantendo di fatto l’accesso alla stampa, dopo un ricorso presentato dai giornalisti Raffaella Cosentino e Stefano Liberti.
Oggi si è punto e a capo. Le motivazioni? In una lettera di diniego indirizzata lo scorso 21 marzo a una dei tanti operatori dell’informazione che ne hanno fatto richiesta negli ultimi mesi, Valeria Brigida (pubblicata da Internazionale qui), la Prefettura competente cita l’impossibilita “di visite per la realizzazione di documentari con riprese”, perché ai richiedenti asilo “deve essere assicurata la massima tutela dei diritti, anche in materia di privacy”. L’ente cita comunque “che le disposizioni vigenti al riguardo consento l’accesso alla stampa”, di fatto nessuno è riuscito a entrare in questi mesi. “Il diritto all’informazione deve comunque prevalere, perché l’accenno alla questione della privacy in realtà non trova riscontro, eventuali violazioni hanno sedi opportune dove essere tutelate”, sottolinea De Ponte, “il problema è che con questo diniego una persona è portata a pensare che ci sia qualcosa da nascondere o da non far emergere da quei centri”.
Anche Filippo Ungaro, responsabile comunicazione e campagne di Save the children Italia, esprime un giudizio netto a favore dell’ingresso dei giornalisti negli hotspot, che in Italia sono attualmente quattro: Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto. “Il governo italiano si sta distinguendo da tempo in modo positivo a livello europeo, perché cerca di porre in primo piano nell’agenda della Ue il tema dell’accoglienza profughi e la necessità di reperire risorse per affrontarlo. Proprio per questo non deve fare passi indietro a livello di trasparenza: è necessario che garantisca l’accesso e il monitoraggio di questi centri agli organi di stampa”, rimarca Ungaro. “Non c’è un motivo valido per negarlo: è necessario rispettare ogni singolo attore che ha a che fare con l’accoglienza, permettendo a ciascuno di fare il proprio lavoro. È per il bene di tutti, in particolare le persone più vulnerabili, come le famiglie e i tanti bambini soli che arrivano sulle nostre coste”.
In occasione della Giornata mondiale del rifugiato, il prossimo 20 giugno, LasciateCIEntrare e tante altre associazioni coinvolte nella mobilitazione promuovono #20giugnolasciatecientrare, una serie di iniziative territoriali il cui scopo è proprio ribadire il diritto e la necessità di potere accedere ai centri per migranti, negli hotspot cosi come in Cie, Cara e Cas, dove le visite vengono concesse ma spesso dopo ripetute richieste e lunghe attese.
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