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I bambini del labirinto

A due giorni dalla pubblicazione del rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, (ECRI) in cui si rilevano criticità relative alla narrazione mediatica, spesso associata a cornici allarmistiche e stereotipizzate: “Nel loro percorso verso l’integrazione e l’inclusione, i migranti hanno sperimentato problemi concreti a causa della narrazione – sostanzialmente negativa – caldeggiata dalla classe politica”; e alla presenza di discriminazioni nelle scuole “I bambini migranti sono più esposti al bullismo nelle scuole e abbandonano il percorso scolastico prima dei bambini italiani”, raccontiamo di uno sguardo che va nella direzione di raccontare le persone e i loro percorsi.

“Queste lettere sono dedicate a tutte loro” così il regista Philip Brink e la fotografa olandese Marieke Van der Velden, creatori del progetto Children of the Labirinth o I bambini del Labirinto presentano una raccolta di testimonianze, visive e letterarie, di nove genitori rifugiati, che hanno nascosto la loro paura nel desiderio più umano di salvare i propri figli.

“Mia dolce bambina Mozhda, leggerai questa lettera quando sarai più grande e riuscirai a capirla. Non riesco a dimenticare i giorni in Afghanistan dove avevamo una vera casa, che io e tuo padre abbiamo costruito insieme con le nostre mani. Io ero una maestra, la nostra vita lì non era perfetta ma era piena d’amore”. Latiza a Mozda.

L’idea nasce da una foto di Eddy Van Wessel: una bambina sulle spalle di suo padre. Ѐ coperta da una busta della spazzatura per cercare di rimanere asciutta dalla pioggia e sorge una domanda: come deve essersi sentito questo padre in quelle circostanze? Che cosa racconta alla bambina la sera per farla addormentare? E così l’invito a genitori in fuga a scrivere delle lettere ai loro figli.

“Mio dolce futuro, ho scelto di fuggire perché non avevo altra scelta. Sei la ragione per cui combatto tutte le sfide della vita. Siamo fuggite dall’Iran in Turchia e dalla Turchia alla Grecia. Quando siamo arrivate sull’isola, eravamo entrambe scioccate; ci hanno portato in una vecchia tenda che conteneva decine di lacrime, i topi strisciavano sopra le nostre teste e i nostri volti di notte. Era un inferno in cui siamo rimaste intrappolate per otto mesi. Anche Atene aveva i suoi problemi: nei primi cinque mesi non abbiamo avuto nessun posto dove stare, niente soldi e nessun sostegno. Hai sviluppato problemi di cuore ma io non sono riuscita a farti fare un controllo”. Zahra a Kamiya.

Donne e uomini, vittime della politica, diventano tesorieri di testimonianze e creatori di memorie. La narrativa del ricordo straborda, come i motoscafi nel Mediterraneo di umani, di dolore. Chi ha deciso di abbandonare tutto fa della propria vita un duplice racconto: pietrifica un indimenticabile passato di sofferenza e modella un futuro di libertà; lo scisma di vita si fa pegno di fede tra genitori e figli, che porteranno il doloroso e ciecamente speranzoso ricordo di chi, in nome di un diritto naturale, ha voluto per loro un futuro.

“Mia cara Yasna, non vorrei mai che qualcuno prendesse decisioni per te nella tua vita o che ti trattasse con disprezzo. Decidi per te stessa e per il tuo futuro, sii libera e vivi liberamente. Mia dolce bambina, ti auguro un futuro bello e pieno di successo”. Nazir-Ahmad a Yasna.

“Sappi che è il desiderio di tuo padre farti diventare un uomo di scienza per fare cose buone per la gente, così che tu possa essere d’aiuto ogni volta che puoi. La vita è un circolo, figlio mio. Muhammad, ti vedo come un figlio quando ti amo, come mio padre nella debolezza, come mio fratello quando giochiamo e come tutti gli altri umani quando mi sento sola. Possa Allah proteggerti dalla cattiveria e da ogni male. Non posso vivere senza di te”. Asma a Muhammad.

I leitmof del nostro quotidiano ritornano. Sono gli stessi dei nostri nonni e dei nostri genitori, di speranza e di augurio per un futuro di sicurezza, gioia e studio che si applica per governare il paese dettando e proponendo stime sulle percentuali di irregolari, sugli arrivi via mare, sulla presenza delle persone migranti rifugiati e sulla criminalità. Si stimola la retorica delle parole ricolme di lontananza, alterità e scientificità, che assegnano ai fortunati europei una posizione di superiorità e gettano in una non curanza generale il singolo. Burocrazie infinite, discriminazioni e violenze appaiono realtà estranee: i numeri e i dati sono la nuova narrativa degli esonerati.

“Nessuno dei viaggi è stato facile ma ce l’abbiamo fatta. Finalmente il giorno della tua nascita è arrivato; che giornata difficile, ero ancora una volta sola e spaventata ma sapevo che sarebbe finita presto perché avrei avuto te. Ho sperato con tutta la mia anima che avresti guarito le mie ferite e cambiato la mia vita al meglio. Mi sciolsi in lacrime quando, nella stanza della maternità, ho incontrato il mio compagno di vita, quello che mi darà la voglia di vivere e di amare ancora una volta, la forza per continuare a lottare per questo nostro futuro incerto”. Fabiola a Soan.

“Ti ho organizzato una festa di compleanno quando hai compiuto un anno ma dentro di me piangevo, non volevo festeggiare il tuo compleanno in una tenda senza poterti portare al parco. Volevo continuare a combattere ma dopo un nuovo colloquio il nostro caso fu respinto. Una seconda volta, principessa mia, il tuo secondo compleanno si avvicina, ho notato la tua gentilezza verso me e tuo padre, è come se sentissi anche tu che non stiamo bene e siamo preoccupati per te. Abbiamo paura che anche il tuo terzo compleanno sia qui; desidero la pace, un tetto sicuro sotto cui vivere: potrebbe essere ovunque nel mondo, in un paese con uguali diritti per tutti”. Fatima a Sogol.

Il diritto alla vita, loro rubato, viene svalutato per creare una classe dirigente che risolve e sintetizza il travaglio umano in una sistematica ricerca di nuove soluzioni ma il senso del futuro viene accolto dall’arte. Le parole-pietre dell’opera Children of the Labirinth sono la testimonianza di un abbandono incondizionato al potere del ricordo e sono un esempio della nuova narrativa, di cui il mondo ha bisogno: il racconto delle storie degli umani.

Il racconto è stato realizzato all’interno del percorso laboratoriale del progetto “Effetto farfalla” da Asia Vicentino, studentessa del Liceo Dante di Roma.

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