Il periodo in cui Roberto Morrione ebbe l’intuizione geniale di fondare un canale televisivo all-news coincise col mio ritorno in pianta stabile, dopo alcuni anni trascorsi come consulente esterno, negli uffici di Amnesty International Italia, in qualità di portavoce dell’associazione.
L’idea di uno spazio televisivo che fornisse, con continuità nel corso della giornata, notizie fresche e aggiornamenti delle precedenti era di per sé innovativa. Ma la politica editoriale di quello spazio avrebbe potuto prendere direzioni diverse: ad esempio, essere una sorta di servizio pubblico della politica, dando poco spazio al resto.
In quel resto, c’erano le “mie” notizie. Quelle che vivevano nelle periferie del mondo, scarsamente e raramente illuminate dall’informazione. Nei luoghi dove la regola del potere era il silenzio.
Grazie a Roberto, quelle notizie e quei luoghi iniziarono ad apparire. Non in risicati spazi televisivi notturni, ma nelle edizioni dei telegiornali, negli approfondimenti, nelle inchieste, nelle dirette.
Rai News 24 fu, con Roberto, qualcosa di profondamente diverso da ciò che era già allora, e ancora di più è diventato oggi, un format televisivo. Oggi, giornalisti dialogano con altri giornalisti, si fanno domande e si danno risposte su temi dei quali spesso conoscono poco. Oggi, le sedie dei dibattiti televisivi sono occupate da persone che parlano, con supponenza, di genocidi e altri crimini dopo aver concionato sul superbonus e pronti ad affrontare il successivo argomento, ad esempio il premierato.
No, Rai News 24 non era così: i giornalisti andavano sul posto, facevano domande a testimoni, sopravvissuti, protagonisti e vittime. In studio, erano invitati esperti e non opinionisti. Era la tv dell’autorevolezza, non dell’approssimazione. Si parlava di ciò che si sapeva e si taceva di ciò che non si sapeva. E tra quelle persone esperte, ogni tanto c’ero anch’io: su un tema, su un problema specifico. I diritti umani stavano diventando, grazie a Roberto, una sezione del palinsesto, un blocco di notizie.
Sarebbe ingeneroso dire che, dopo Roberto, c’è stato il buio. Ci sono colleghe e colleghi in Rai che sono stati uccisi mentre facevano giornalismo come Roberto aveva insegnato a fare: d’inchiesta, con la schiena dritta, senza fare sconti.
Però è proprio quell’idea che non va più per la maggiore: i diritti umani come sezione di notizie. La politica è chiamata a interpretare e a commentare ogni cosa.
Oggi, negli studi televisivi, se c’è un’alluvione si chiama un esperto di clima; se c’è un terremoto s’invita uno studioso dei movimenti sismici. Ma se c’è un naufragio di persone migranti, si chiamano gli schieramenti opposti della politica. A Roberto non sarebbe interessato il loro parere. Avrebbe chiamato me e colleghe e colleghi delle organizzazioni per i diritti umani.
*di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International