Di Paolo Bonetti, socio Asgi, docente di diritto costituzionale all’Università Bicocca di Milano
Uno dei candidati alla prossima elezione alla carica di Presidente della Giunta della Regione Lombardia afferma che occorrerebbe una limitazione degli ingressi degli stranieri non appartenenti all’UE perché sarebbe in pericolo la razza bianca, le nostre tradizioni ecc. e da ultimo dopo essersi scusato del lapsus afferma in un’intervista televisiva che occorrerebbe cambiare la Costituzione che menziona la parola “razza”. E’ opportuno ricordare al candidato (che pure dovrebbe saperlo perché è giurista…) e a tutti che la Costituzione italiana e le altre norme nazionali ed internazionali che usano il termine “razza” lo usano in polemica col passato del regime nazifascista (italiano, tedesco ecc., ma pure sudafricano) che affermò l’esistenza di razze diverse invece della unica razza umana (ciò che gli scienziati hanno provato) per ideare, disciplinare e realizzare politiche e norme discriminatorie, ghettizzanti e persino di sterminio. Tutte le norme costituzionali, internazionali ed europee che prevedono il termine “razza” lo fanno per prevedere un divieto inderogabile di ogni tipo di norme o atto pubblico o privato che compiano discriminazioni di trattamento fondate sulla diversità del colore della pelle o dell’etnia.
Non c’è perciò alcun bisogno di modificare la Costituzione come se il riferimento alla razza ivi previsto sia irrilevante o superato perché esso sta a significare non già che le razze esistono, ma proibizione di ogni discriminazione fondata su supposte differenze razziali. Perciò l’eventuale eliminazione di questo principio fondamentale non significherebbe affatto l’ovvio riconoscimento dell’inesistenza delle razze tra gli umani, bensì il venir meno del divieto inderogabile di discriminazioni fondate su pretese differenze razziali, il che finirebbe per legittimare proprio politiche razziste o xenofobe, in polemica con le quali la Costituzione è nata. Occorre invece osservare e ribadire quel divieto, rinforzato anche a livello della comunità internazionale da successive norme internazionali e a livello sovranazionale da specifiche norme dell’UE. Per attuare quelle norme costituzionali, internazionali e UE sono in vigore molte norme nazionali che prevedono forme civili e penali di prevenzione e repressione di ogni discriminazione razziale. E’ bene che lo capisca fino in fondo chiunque si candidi ad osservare anche in Lombardia quella medesima Costituzione.
Spiace davvero che simili affermazioni avvengano ad 80 anni dall’approvazione delle leggi razziali fasciste e a 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Non si ha memoria di un politico dell’età repubblicana che abbia nuovamente tirato fuori pubblicamente l’argomento razziale e averlo ripetuto rende del tutto inefficaci e discutibili i ragionamenti vagamente restrittivi e xenofobi affermati. Lo stesso candidato dimentica che l’art. 117, comma 2, Cost. prevede che diritto di asilo, immigrazione e condizione dello straniero sono materie spettanti alla potestà legislativa dello Stato, sicché non spetta certo alla regione decidere su questi temi, bensì allo Stato. Occorre poi ricordare che l’identità del popolo italiano – quella che si vuole difendere – è proprio la migrazione e l’accoglienza. La Lombardia prende il suo nome proprio da una migrazione (quella dei Longobardi) che nel 569 dopo Cristo giunse in Italia dalle aree danubiane o forse addirittura da più lontano si fuse con le precedenti popolazioni di origine romana, gota ecc., per poi essere spazzata dalla dominazione franca e poi ancora da quella germanica, poi da quella francese e spagnola. Intanto arabi prima e normanni poi colonizzarono la Sicilia. Potremmo continuare analogamente regione per regione. Nessuno etnicamente “puro” e tutti misti da sempre. Nel battistero romano posto sotto il Duomo di Milano Sant’Ambrogio (nato a Treviri in Germania), prefetto prima e vescovo poi di Milano, allora capitale dell’impero romano, battezzò nel 387 sant’Agostino, africano nato a Tagaste (oggi Souk Ahras in Algeria). Nel De officiis Ambrogio scrive pagine chiarissime, nette e polemiche in favore dell’accoglienza agli stranieri e contro l’egoismo degli allora cittadini di fronte alla crisi economica (ieri come oggi…). La Chiesa ambrosiana in osservanza della prescrizione di Gesù nel Vangelo (“ero straniero e mi avete ospitato”) – tema che dovrebbe stare a cuore a chiunque si dica cristiano o voglia il voto dei cristiani…- da sempre è in prima fila nell’aiutare ogni tipo di migrante, nel fare un ponte tra i precedenti residenti e i nuovi.
Altrettanto le istituzioni pubbliche, sia nel costruire case ai migranti italiani e stranieri (più o meno buone come testimonia l’edilizia pubblica in Lombardia), sia nell’accogliere i più disastrati: certo tra il 1945 e il 1948 i bambini ebrei stranieri scampati ai campi di sterminio furono ospitati dal Comune di Milano nella colonia di Selvino e altrettanto accadde a Chiari ad un altro gruppo di ebrei stranieri. Dall’Italia per 120 anni è partita un’enormità di emigrati,addirittura il secondo flusso di emigrazione della storia dell’umanità (la prima è quella dei cinesi): circa 27 milioni di italiani hanno lasciato l’Italia per popolare il mondo e tuttora si calcola in circa 60 milioni gli oriundi italiani nel mondo e in 5 milioni i cittadini italiani all’estero. Da Milano partivano decine di migliaia di emigrati italiani in tutti i Paesi e i continenti (tuttora vi sono migliaia di lombardi frontalieri in Svizzera, ma il candidato forse se li è dimenticati). Nel 1880 nell’allora stazione centrale di Milano il beato mons. Scalabrini, vescovo di Piacenza, fu toccato dalle masse di migranti italiani accampati in vista di emigrare verso le Americhe. Dal momento in cui vide qui migranti italiani alla stazione di Milano decise di occuparsi di aiutare i migranti in tutto il mondo. Quella vista di persone povere, sporche e senza nulla (ieri come oggi nella stazione di Milano…) lo spinse ad occuparsi dei migranti.
A Milano e in Lombardia milioni di altri italiani sono giunti da altre regioni nel XX^ secolo e a Milano e in Lombardia hanno trovato ospitalità, accoglienza, lavoro e inclusione sociale. Ognuno ha nella sua famiglia l’emigrazione e l’accoglienza. Ormai centinaia di migliaia di ex stranieri sono diventati italiani ed elettori e chiunque se ne dimentica perde voti. La vera identità italiana è migrazione e accoglienza, oltre a lingua, religione ecc. Ricordiamocene contro inutili polemiche. Il resto è l’esigenza di meglio organizzare l’accoglienza e di dare piena attuazione al diritto di asilo garantito dalla stessa Costituzione.
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