La mattina del 23 dicembre 1990 nell’allora campo di via Gobetti vengono uccise a colpi di arma da fuoco due persone: Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina, entrambi erano sinti. Restano feriti in modo grave altri due abitanti del campo: una donna, Lerje Lluckaci e una bambina di sei anni, Sara Bellinati. Fin dalle prime ricostruzioni i colpevoli risultano essere arrivati a bordo di una Fiat Uno bianca e una Lancia Y10.
Tra i testimoni ascoltati nei giorni successivi un’altra residente del campo, presente al momento della sparatoria; la donna, portata in questura, riconosce tra i poliziotti uno degli assassini, Roberto Savi. Le sue parole non vengono tenute in considerazione e sono presto dimenticate. Solo nel 1994 si riconosce che dietro alle gesta criminali della Banda della Uno bianca, e dunque anche dietro agli omicidi di via Gobetti, ci sono cinque poliziotti, tra cui Roberto Savi.
Via Erbosa. Quello che molte testate dimenticano
La visita di Matteo Salvini al campo di via Erbosa, a Bologna, è stato e continua ad essere argomento ampiamente ripreso dalle testate italiane negli ultimi giorni.
In comparazione col grande numero di articoli dedicati all’episodio di cronaca e al dibattito politico, sono stati pochi i giornalisti che hanno ricordato la storia di via Erbosa. Le origini del campo, infatti, si intrecciano con le attività criminali della Banda della Uno bianca.
Il campo di via Erbosa è stato autorizzato subito dopo l’attacco del 23 dicembre 1990, per sistemare in un’area più sicura e protetta gli abitanti di via Gobetti sopravvissuti alla sparatoria. Oggi è abitato da circa 60 persone italiane di origine sinta. Come ha spiegato l’assessore ai Servizi sociali del Comune di Bologna, Amelia Frascaroli, al Corriere di Bologna, nel campo, pensato inizialmente per rappresentare una soluzione transitoria, gli impianti non sono mai stati messi a norma; è questa la ragione per cui l’amministrazione comunale si fa carico per intero del pagamento delle utenze, contestato da molti.
Oggi è il Fatto Quotidiano a dare voce agli abitanti del campo di via Erbosa, portando così un ulteriore punto di vista, rispetto a quello di politici e associazioni, sull’iniziativa della Lega Nord: «Noi sinti ci sentiamo più italiani dei leghisti».