«In questi giorni abbiamo sentito dire che rubiamo, che stupriamo le donne, che siamo incivili, che alimentiamo il degrado del quartiere dove viviamo – scrivono in una lettera aperta i rifugiati che abitano nel centro di accoglienza di Tor Sapienza – queste parole ci fanno male, non siamo venuti in Italia per creare problemi, né tanto meno per scontrarci con gli italiani. A questi ultimi siamo veramente grati, tutti noi ricordiamo e mai ci scorderemo quando siamo stati soccorsi in mare dalle autorità italiane, quando abbiamo rischiato la nostra stessa vita in cerca di un posto sicuro e libero». Sulle pagine dell’Avvenire leggiamo le parole scritte dagli ospiti del centro di accoglienza contro il quale si è scatenata la rabbia dei residenti del degradato quartiere romano («I rifugiati: “Paura per la nostra vita“»). «Se dovesse chiudere – leggiamo ancora – sarebbe una sconfitta per l’Italia».
Da giorni il centro è oggetto delle proteste, anche violente, di cittadini esasperati per le condizioni in cui versa quest’area periferica della città. Condizioni che, anche se il centro d’accoglienza sparisse, persisterebbero.
«Da Corcolle a Tor Sapienza monta la rivolta contro gli stranieri: vogliamo davvero credere che i recenti scontri nelle borgate romane si possano liquidare così?», si interroga Eraldo Affinati sul Corriere della Sera («Una sfida alle coscienze»). «Secondo questa interpretazione – prosegue Affinati – basterebbe spostare i centri di prima accoglienza da una parte all’altra della città per risolvere i conflitti, come se il gigantesco movimento di popoli a cui stiamo assistendo fosse una semplice patata bollente da gettare via, il più lontano possibile, chissà dove, per non scottarsi troppo. Diciamo piuttosto che la presenza degli arabi, dei rumeni, degli africani, degli asiatici in certe zone della Capitale scopre in modo impietoso il degrado delle nostre periferie. Ecco perché chi strumentalizza la rabbia dei cittadini, senza esitare a raccogliere consenso rimescolando nel torbido, non è poi così distante dai malfattori che nei giorni scorsi hanno aizzato la folla, armati di bastone, contro i rifugiati e i minori non accompagnati di viale Giorgio Morandi». È importante, infatti, che i media non dimentichino come la protesta sia iniziata, per poterla spiegare al meglio e offrire a chi legge o ascolta una fotografia corretta della situazione: a scendere in piazza per primo, la sera del 10 novembre, un gruppo di residenti che ha attaccato il centro d’accoglienza al grido di «viva il duce!», «bruciamoli», «negri di merda». Questo primo attacco era stato motivato come la risposta ad alcune aggressioni avvenute nei giorni precedenti, in particolare alle molestie subite da una donna nel parco che aveva descritto il colpevole come «uno straniero, uno dell’Est». Un gruppo di vandali, esaltati e violenti; i «malfattori che nei giorni scorsi hanno aizzato la folla, armati di bastone, contro i rifugiati e i minori non accompagnati di viale Giorgio Morandi» che troviamo nella riflessione pubblicata dal Corriere della Sera.
È importante che i media ricordino da chi e con quali modalità sia stato individuato e attaccato il capro espiatorio, perché l’iniziativa spontanea di protesta alla quale hanno partecipato in modo esteso cittadini di Tor Sapienza di ogni età, sesso e appartenenza politica- molti dei quali prendono le distanze dalle azioni criminali dei più violenti – ha avuto origine proprio da questo primo vergognoso attacco.
È altrettanto importante che le testate analizzino a fondo le motivazioni alla base del degrado delle periferie. La cultura del capro espiatorio promossa da molti media, i quali scelgono di individuare dei “colpevoli”, piuttosto che promuovere il ragionamento nel pubblico, ha la sua parte di colpa nello scoppio di queste guerre tra poveri.
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