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Il caso del Fatto. Semplificazioni fuorvianti, necessaria contestualizzazione

Quando superficialità equivale a disinformazione

Sorprende leggere sul Fatto Quotidiano (del 20 gennaio del 2015) un articolo nel quale la parola “clandestino” non solo viene utilizzata in modo improprio, ma associata a un contesto cospirativo nel quale – sulla base di una informativa dei Ros – vengono  inserite le cooperanti Greta e Vanessa e una presunta collaboratrice dell’Unhcr. L’articolo ha suscitato molte reazioni in rete.
 
La vicenda che viene descritta pare essere uno degli innumerevoli tentativi di aggirare il regolamento di Dublino, la normativa europea che impone ai richiedenti asilo di stabilirsi nel primo paese europeo dove hanno messo piede. Nel caso specifico si tratta di uno dei tanti gruppi di siriani che, sbarcati in Italia, raggiungono i parenti in Svezia. Sorprende in particolare il fatto che questo fondamentale elemento di contesto non venga fornito al lettore e che i siriani vengano qualificati come “clandestini musulmani”, con una semplificazione brutale e fuorviante.
 
Torniamo a ripetere che il termine clandestino non solo è giuridicamente improprio, ma è da evitare anche quando si parla di situazioni di irregolarità (che possono essere determinate da diverse cause, anche banalmente burocratiche) perché dà una connotazione aprioristicamente negativa. Nel caso specifico questo utilizzo improprio viene associato alla fede religiosa delle persone.
 
Non è un buon servizio ai lettori ed è una evidente violazione della Carta di Roma.
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