Di Alessandra Vescio su Valigia Blu
Il 28 novembre 2021 sulla versione online di Il Giornale è stato pubblicato un articolo dal titolo “In Europa vietato dire “Natale” e perfino chiamarsi Maria”. Con toni allarmistici e strabiliati, il pezzo descriveva un documento della Commissione Europea sulla comunicazione inclusiva di cui la testata diceva di essere entrata “in possesso in esclusiva”. Il documento in questione è una raccolta di linee guida destinata allo staff della Commissione, pubblicato il 26 ottobre 2021 e promosso dalla Commissaria all’Uguaglianza dell’Unione Europea Helena Dalli.
Diffusa con licenza Creative Commons, e dunque non un’esclusiva di una testata ma disponibile a essere riutilizzata e condivisa da chiunque, questa raccolta di linee guida è nata con lo scopo di fornire delle indicazioni a chi lavora nella Commissione Europea e stabilire degli standard comuni e condivisi per utilizzare un metodo e un linguaggio inclusivi. Nell’introduzione a questo documento, infatti, si legge: “Tutte le persone all’interno dell’Unione Europea hanno il diritto intrinseco di essere trattate alla pari, e dunque di essere incluse e rappresentate, a prescindere dal genere, dalle origini o dall’etnia, dalla religione o dal credo, dalla disabilità, età o orientamento sessuale”, per cui è fondamentale che proprio l’Unione “dia il buon esempio” anche con il linguaggio, che è una delle componenti attraverso cui passa e si manifesta il rispetto delle identità.
Diviso per argomenti e con tanto di checklist a cui fare riferimento per assicurarsi di aver utilizzato un approccio realmente inclusivo, il documento offre suggerimenti e indicazioni allo staff della Commissione per la preparazione di comunicazioni interne o di cartelle stampa, per l’organizzazione di eventi o per la creazione di contenuti da pubblicare sui social media. Gli aspetti trattati sono il genere, la comunità LGBTIQ, l’etnia, la cultura e il credo, le disabilità, l’età e l’accessibilità online. Per ogni argomento, sono forniti consigli su pratiche da evitare, esempi alternativi e le motivazioni per cui sarebbe importante superare certi modi di porsi e di dire. Tra le indicazioni si legge, ad esempio, che si dovrebbe evitare di rivolgersi alla propria audience di default al maschile (quello che nella lingua italiana è conosciuto come “maschile sovraesteso”) e provare a trovare dunque delle soluzioni che siano più comprensive, così come si propone di non sminuire o ignorare il contributo delle donne, rappresentandole per esempio sempre e prima di tutto come madri. Nel capitolo sulla comunità LGBTIQ, le linee guida suggeriscono di non presumere né dare per scontato l’orientamento sessuale di una persona, di rivolgersi alle persone transgender e non binarie con i pronomi e il genere con cui si identificano, di non utilizzare un linguaggio che svaluti o non riconosca relazioni che non siano eterosessuali. È importante, si legge sempre nel documento, non distinguere poi le persone solo in sposate e single, ma offrire rappresentazioni di nuclei familiari diversi, come i genitori single, le coppie senza figli/figlie, le famiglie adottive.
Suggerimenti importanti si trovano anche nel capitolo sull’etnia. Qui infatti si legge dell’importanza di fare caso alla diversity durante gli eventi, sia tra le persone speaker di un panel sia nella formazione del proprio team di comunicazione, ma anche della necessità di non rappresentare in maniera pietistica persone provenienti da diversi background etnici e culturali. Evitare un approccio vittimista è consigliato anche nella rappresentazione delle persone con disabilità e in più si invitano le persone destinatarie del documento a non concepire e descrivere la disabilità come unico tratto distintivo dell’individuo. Per quanto riguarda gli eventi invece si consiglia di assicurarsi di poter fornire il servizio della lingua dei segni e scegliere location che siano accessibili a chi è in sedia a rotelle o ha altre disabilità. Nella comunicazione online invece è raccomandato, tra le altre cose, di ricorrere a un linguaggio semplice e accessibile, a font leggibili e, quando necessario, anche a sottotitoli, così da poter raggiungere chiunque con i propri contenuti.
A scatenare però principalmente la polemica sui media italiani, oltre alla proposta di superare la caratterizzazione di genere al maschile e dare voce e rappresentazione a chi non si riconosce nel binarismo di genere, è un fatto piccolissimo, anzi un paio di esempi che le linee guida citano al loro interno. Nel capitolo su culture, stili di vita e credi, infatti, si trova un invito a rispettare religioni e credi differenti ed evitare di presumere che tutte le persone siano cristiane o che tutte le persone cristiane celebrino le festività nelle stesse date. In Europa infatti il cattolicesimo, il protestantesimo e la fede ortodossa, tutte appartenenti alla religione cristiana, sono presenti in maniera sostanziale. Così, invece di dire “Il periodo di Natale può essere stressante”, il documento sulla comunicazione inclusiva della Commissione Europea suggerisce che si potrebbe dire “Il periodo delle feste può essere stressante”, o ancora “per chi celebra il Natale o Hannukkah”. Per le stesse ragioni, le linee guida suggeriscono anche di non ricorrere al nome di battesimo quando si nomina qualcuno ma di chiamarlo per “nome” e di usare nomi di diverse religioni quando si fanno degli esempi o si raccontano delle storie, per cui invece di usare i nomi di “Maria” o “Giovanni” si potrebbe iniziare a usare “Malika” o “Julio”. D’altro canto, stando ai numeri, l’Europa è a tutti gli effetti un territorio multiculturale e multireligioso. Se è vero, infatti, che il 76% della popolazione è cristiana, solo il 33% circa si dice cattolico. Il 7% poi è di fede musulmana e il 15% nel 2020 si è definito non religioso. Inoltre, sempre meno persone sono cristiane, soprattutto in Europa occidentale.
Presentate tutte sotto forma di invito o suggerimento, le proposte del documento europeo hanno dunque lo scopo di dare spazio a quante più voci e identità possibili già presenti in Europa, mentre, secondo Il Giornale, “hanno dell’incredibile” e rappresentano l’ennesimo tentativo di cancellare le radici cristiane. Secondo Il Foglio, invece, che si è più volte espresso contro la cosiddetta cancel culture e la presunta dittatura del politicamente corretto, quella che viene presentata come “inclusione” in realtà è “insipienza”.
In un paio di giorni, i media italiani (dalle testate di destra al telegiornale del servizio pubblico) hanno montato ad arte un caso su queste linee guida e su come la Commissione Europea volesse cancellare il Natale, spalleggiati anche da esponenti della politica come Giorgia Meloni, che su Twitter ha posto il focus sul rischio di cancellazione della storia e dell’identità del nostro paese, e Matteo Salvini, che, esaltando il Natale, ha ironizzato sulle motivazioni alla base del documento europeo. Anche il Vaticano, tramite le parole del segretario di Stato Pariolin, ha espresso preoccupazione: se è giusto l’interesse verso l’azzeramento delle discriminazioni, dice il cardinale, questo non può passare attraverso l’annullamento delle radici e dell’omologazione.
Come abbiamo visto precedentemente, però, le linee guida europee non propongono in nessuno dei capitoli di cancellare le differenze, anzi l’intento è proprio il suo opposto: dare sempre più spazio e riconoscimento alle diversità, “illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione verso tutti i percorsi di vita e i credi delle persone europee”, come ha detto la Commissaria all’Uguaglianza Helena Dalli. Rispettare e riconoscere che oltre alle persone cattoliche, ad esempio, esistano anche coloro che professano altre religioni o che si dichiarano atee, non vuol dire cancellare il cattolicesimo e le sue tradizioni, ma più semplicemente non imporre un credo su un altro e fare in modo che quante più persone possibili si sentano viste e rappresentate. Lo stesso discorso vale per le questioni di genere: ricorrere a un linguaggio che non sia sempre declinato al maschile restituisce dignità alle varie identità.
Il 30 novembre 2021, però, a circa due giorni dalla pubblicazione del primo articolo su Il Giornale, Dalli ha affidato a un comunicato stampa la decisione di ritirare il documento sul linguaggio inclusivo: “Sono state sollevate preoccupazioni in relazione ad alcuni esempi forniti nelle Linee Guida sulla comunicazione inclusiva, che come è solito succedere con linee guida simili, è un work in progress”, si legge in un tweet di accompagnamento alla nota.
Un documento per favorire un approccio quanto più possibile scrupoloso, attento, rispettoso e inclusivo sia nelle attività interne della Commissione Europea sia in quelle rivolte all’esterno, e redatto in maniera moderata e con un atteggiamento propositivo, è stato dunque affossato da tendenze conservatrici e provocazioni politiche che, in maniera consapevole, hanno scelto di ingigantire, inventare e manipolare fatti al solo scopo di scatenare una polemica. E la ragione alla base di ciò è sempre la stessa: mantenere uno stato delle cose che dia spazio solo a pochi.
Stupisce dunque che un’istituzione europea, in seguito all’insorgere di polemiche strumentali provenienti oltretutto da un solo paese, abbia messo in qualche modo in discussione quelli che definisce come propri valori fondamentali. Secondo Luca Misculin, giornalista de Il Post ed esperto di questioni europee, però “le ragioni che hanno portato la Commissione a ritirare il documento sono state soprattutto due. La prima ha a che fare con la paura atavica delle istituzioni europee di dare fiato alla propaganda euroscettica e sovranista: soprattutto in Italia, un paese dove secondo gli ultimi Eurobarometri soltanto nell’ultimo anno l’UE ha riguadagnato consensi e fiducia. La seconda si intreccia con la prima. Ursula von der Leyen è espressione di un partito che si chiama, letteralmente, Unione Cristiano-Democratica. E in un paese dal retaggio cattolico-conservatore, in cui i due partiti più popolari secondo i sondaggi sono tradizionalisti e di estrema destra, la Commissione ha preso la scelta verosimilmente più popolare e condivisa con la maggioranza degli italiani (oltre che coerente con la storia personale della Presidente). Lo dimostra fra l’altro anche la presa di posizione dei principali quotidiani, e non solo quelli di destra: assai compatti contro il documento”. Che ci siano delle contraddizioni all’interno dell’Unione Europea, tra paesi che ne fanno parte, valori promulgati e pratiche seguite, è evidente: lo dimostrano ad esempio i recenti fatti e le posizioni sull’immigrazione, ma anche le critiche più volte mosse alle stesse istituzioni europee per la mancanza di diversity nei loro team.
Contraddizioni e strategie politiche che però non fanno altro che generare contraccolpi pericolosi. Per quanto fossero destinate a un uso interno di uno staff e dunque circoscritte a un caso specifico, le linee guida per una comunicazione inclusiva proposte dalla Commissione Europea in qualche modo rappresentavano una posizione ufficiale che promuoveva il rispetto delle diversità. Anche se non volontariamente, la scelta di ritirarle ha portato da un lato ad avallare posizioni ostili a una società inclusiva e dall’altro ad assecondare un giornalismo che contribuisce alla creazione di un clima disinformato e intollerante. Il risultato, come spesso accade in situazioni simili, è un dibattito inquinato e la perdita del focus principale: ovvero che quando parliamo di inclusività, di rispetto delle identità e di spazi da condividere, si sta pur sempre parlando di persone.
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