Leggiamo su “il Giornale” una parodia della Carta di Roma curata da Paolo Bracalini. Il quale, tra un’inesattezza e l’altra, presenta il Codice deontologico come una sintesi grottesca delle esasperazioni del politicamente corretto. E confonde le poche, semplici, regole della Carta di Roma con i suggerimenti delle “linee guida”.
Bracalini se la prende in particolare con la raccomandazione a evitare l’uso del termine “clandestino”. E cita la definizione della Treccani per dimostrare che “clandestino” è esattamente chi “entra in un paese illegalmente”. Bravo Bracalini. Sfoglia un po’ la Treccani e scoprirai che uno che “si comporta in modo criticabile” – cioè in un modo che magari Bracalini non condivide – può essere definito “stronzo”. Poi vai da quel tale e chiamalo così, tenendo la Treccani a portata di mano, mi raccomando.
La prima delle poche e semplici regole della Carta di Roma dice di usare “termini giuridicamente appropriati”. E tutte le volte che siamo intervenuti sull’uso improprio del termine “clandestino”, l’abbiamo fatto perché era stato usato per definire persone entrate “non illegalmente” nel Paese. Cioè per persone che avevano diritto all’asilo o alla protezione umanitaria.
Per intenderci, chiamare “clandestino” un tale che sbarca sulla costa italiana perché restare nel suo Paese vorrebbe dire rischiare la vita, è come se il padrone del giardino di una villa dove Bracalini fosse costretto a entrare di corsa perché inseguito da un killer chiamasse il medesimo Bracalini “ladro”. E come se il giornale locale continuasse a definire Bracalini “ladro” fino al momento in cui non dimostrasse di aver violato quel domicilio perché si trovava in stato di necessità.
La possibilità di chiamare “clandestino” un rifugiato attiene alla libertà di manifestazione del pensiero, quanto la possibilità di dire che Giorgio Napolitano è il presidente del Milan e Gigi Buffon l’ala destra del Real Madrid. È una cosa sbagliata, oltre che “criticabile” (con riferimento a tutte le definizioni della Treccani).
Bracalini, poi, attribuisce a Carta di Roma una ferocia disciplinare che ci inorgoglisce (almeno non si dirà più che siamo “buonisti”), ma che, ahìnoi, non solo non abbiamo, ma proprio non utilizziamo. Salvo rarissimi casi, infatti, stabiliamo un dialogo professionale con i colleghi, ragioniamo sull’uso dei termini, come si dovrebbe fare normalmente nelle redazioni, perché il linguaggio si evolve, la sensibilità delle persone cambia, e bisogna continuamente aggiornarsi.
Quanto all’unico caso di sanzione disciplinare che cita, a suo dire comminata per un banale articolo sull’assegnazione da parte del comune di Cagliari di case a famiglie rom, Bracalini vada a vedere il fascicolo. Scoprirà che per dimostrare che gli “zingari” venivano trattati come signori, il quotidiano in questione pubblicò fotografie dell’alloggio loro assegnato scattate molti anni prima, quando era una villa con piscina e non – come era invece al tempo dell’assegnazione – una catapecchia cadente. La libertà di manifestazione del pensiero coincide forse con quella di falsificare la realtà?
Giovanni Maria Bellu
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