Di Martina Chichi
Il giornalista Fulvio Scaglione, dalle pagine di Famiglia Cristiana, accusava due giorni fa i «soliti noti» di sfruttare a loro vantaggio la xenofobia, facile da vendere: «L’ordinaria xenofobia, come le patatine fritte nell’olio marcio, vende bene. Basta avere il coraggio di spacciar l’interesse di partito per interesse nazionale, e sfruttare senza pietà le paure della gente». Passa in rassegna una dopo l’altra, nel suo «I soliti noti e la xenofobia delle bufale», le bugie più spesso raccontate dai politici nostrani, contrapponendole ai dati, quelli veri.
Problema ancora maggiore è che, ad amplificare l’effetto di tali bugie, intervengono i media, prestandosi a diventare uno strumento di propaganda. A volte ingenuamente, più spesso volutamente – e per ragioni diverse – decidono di far loro quel gioco sporco.
Gli esempi sono tanti, ma ad avermi colpito di più, almeno negli ultimi giorni, è un servizio mandato in onda da “Dalla vostra parte”, trasmissione d’approfondimento/talk show di Rete 4, dal titolo «I profughi spaccano l’Italia? Non tutti sembrano così disperati». Il ritornello è il solito: profughi inaccontentabili che protestano nonostante l’accoglienza ricevuta.
Sarà che le televisioni estere mi depennerebbero istantaneamente dalla loro lista di collaboratori se producessi un servizio del genere, sarà che sapendo come viene realizzato un servizio trovo certi dettagli davvero insopportabili, ma non posso proprio resistere. Scusatemi, lo devo analizzare secondo per secondo, forse dopo lo vedrete come lo vedo io.
00:00 – 00:15
«Televisori, smartphone e connessione wi-fi. Guai a non averli, anzi, “sono un nostro diritto”, dicono gli immigrati». Gli immigrati – chiunque essi siano, perché “immigrati” è un tantino generico come termine – nel servizio non pronunciano mai una frase simile. Nessuno la pronuncia. Si tratta, piuttosto, di una presunzione del giornalista che non trova alcun riscontro negli elementi presentati nel servizio – tanto meno nella realtà.
Immagini: una serie di persone nere con un cellulare. Per quanto ne sappiamo potrebbero essere italiani, perché – forse questo potrebbe sconvolgere un po’ i responsabili del servizio – non tutti i neri sono migranti! Persone pescate dall’archivio per il fatto di essere nere e di avere un cellulare in mano, che potrebbero essere come non essere gli “immigrati” a cui il servizio fa riferimento.
00:15 – 00:28
«Da Nord a Sud, i profughi ospitati in Italia avanzano parecchie richieste. Arrivano sulle nostre coste spinti dalla disperazione, ma basta poco e si adattano al tenore di vita occidentale». Scopriamo che gli “immigrati” di cui si parla sono quelli arrivati via mare “spinti dalla disperazione”. Ospitati dove? Nei centri di accoglienza per richiedenti asilo, come il servizio sembra indicare? Allora esiste una definizione: richiedenti asilo (se abbiano diritto o meno alla protezione saranno le commissioni competenti a stabilirlo, non noi giornalisti). Quale sarà invece il “tenore di vita occidentale”? Forse le immagini ci aiuteranno.
Immagini: ancora ragazzi neri; una presa di corrente multipla con caricabatterie per telefoni attaccati; un gruppo di ragazzi neri seduti per strada; un barcone ripreso dalla Marina Militare nel corso delle operazioni di salvataggio; altri due gruppi di neri, il primo costituito da persone vicino a un’edificio e il secondo da giovani che giocano a pallone in strada. Corrente elettrica e cellulari, bella pretesa questi immigrati (neri)! Eccoli quando ancora andavano bene, in un barcone, allora erano dei disperati senza pretese, «ma basta poco e»… Queste ultime due immagini, però, non sono certo scene tipiche del “tenore di vita occidentale”.
00:28-00:45
«A Padova, ad esempio, sono in molti a chiedere smartphone di ultima generazione, rigorosamente con connessione internet. Sentite cosa ci ha raccontato una negoziante: “Vogliono… Vorrebbero un telefono per comunicare con casa… Facebook, Skype”». Scioccante il “racconto” della commerciante: vorrebbero un telefono per comunicare con casa. Addirittura. E che abbia pure Facebook e Skype. La pretesa dello smartphone di ultima generazione, però, sembra essere un’altra fantasia dell’autore, poiché non trova riscontro in nessuno degli elementi forniti.
Immagini: altre persone nere col cellulare; il giornalista nel negozio di telefonia, riprese dal basso, molto mosse, la negoziante non è inquadrata. I neri con cellulare non sono mai abbastanza, così eccovene ancora un po’. E poi via, si entra nel negozio, ma tocca fare in fretta e in modo discreto ché le informazioni da recuperare sono troppo delicate per rischiare di fare delle riprese decenti e trovare un commerciante che voglia parlare in camera.
00:45-00:55
«E dove c’è uno smartphone ovviamente c’è bisogno di una connessione wi-fi». Seguito dalla battuta (in camera) di un migrante: «Non ci danno nulla. Neanche il wi-fi». Che i migranti vogliano il wi-fi a “Dalla vostra parte” non va giù. Se proprio dobbiamo dedicare qualche altra riga al modo in cui questo servizio tratta la questione internet, forse è il caso di spiegare a chi non se ne fa una ragione che il wi-fi rappresenta il modo più economico di comunicare con le persone lasciate nei paesi di provenienza. Spesso è l’unico: con una disponibilità economica di 2,50 al giorno è difficile riuscire a trovare un altro modo di fare chiamate intercontinentali. (In Africa e Asia, sorprendentemente, cellulari e wi-fi esistono).
Immagini: un nero sorridente che saluta in camera; un nero che scende le scale; una piscina; altro nero che saluta sorridente. Il titolo lo dice chiaro: non tutti i profughi sembrano disperati. Eccolo qui il nostro nero=immigrato=profugo non disperato. Ma che avrà da sorridere? Furbacchione, te la godi a spese degli italiani eh? Poi dovevano essere finiti i neri col cellulare, perché con l’immagine successiva ci accontentiamo di un uomo con gli occhiali da sole. Mi sembra giusto, visto che subito dopo vediamo una piscina. Dove c’è smartphone c’è wi-fi, continua a ripetere il servizio, ma magari c’è pure la piscina; affermare che i migranti la pretendono era un po’ troppo forzato persino in questo caso, allora sai che c’è? Inseriamola lì con nonchalance, che l’idea del migrante con lo smartphone a bordo piscina attecchisce sempre (italiani, vi rassicuro, negli hotel trasformati in centri di accoglienza la piscina è vuota e sembra esserlo sempre stata, tanto l’atmosfera vacanziera è ormai lontana). Chiudiamo in bellezza con un altro immigrato/nero che sorride salutando in camera. Impertinente!
00:55-01:08
«Non solo: guai a non avere la tv. In provincia di La Spezia i profughi si sono lamentati per la mancanza della televisione nelle camere dell’hotel che li ospita e hanno protestato persino sotto la questura». A forza di parlare di wi-fi quasi dimenticavamo la terza pretesa: la televisione. I richiedenti asilo del centro di Pegazzano hanno protestato di fronte alla questura, sì, ma non certo per la tv in camera: per il cibo scadente, la mancanza di capi d’abbigliamento, il pocket money che non arriva..Immagini: persone di carnagione scura camminano in spiaggia; la sala comune di un centro d’accoglienza dotata di televisore e alcuni ragazzi all’interno di strutture d’accoglienza; neri che camminano per strada e su una terrazza; migranti in protesta col cartello “We need pocket money”. Neppure le immagini di “neri con televisione” erano disponibili a quanto pare, ecco allora dei ragazzi che camminano in spiaggia e qualche ripresa all’interno di un centro di accoglienza (ma dotato di televisore eh!). Poi è il turno della protesta per l’assenza della tv in camera: ora, quasi mi dispiace deludere “Dalla vostra porte”, ma la frase scritta su uno dei cartelli dei dimostranti, inquadrata in primo piano, non significa affatto “Abbiamo bisogno del televisore”. La traduzione, piuttosto, è: “Abbiamo bisogno del pocket money”, quei famosi 2.50 euro – in buoni o carte prepagate – che spettano quotidianamente ai migranti ospiti dei centri di accoglienza per richiedenti asilo.
01:08-fine
«Per non parlare del cibo. Sono decine le rivolte in tutta Italia. A Eraclea gli immigrati hanno abbandonato i vassoi con il pranzo in strada. “Pasto scadente”, si sono giustificati». Non era citato tra le pretese iniziali, ma ecco qui che salta fuori un altro cavallo di battaglia, quello del cibo. Mafia Capitale ci ha insegnato che, in molti casi, della quota dei famosi 30-35 euro quotidiani destinati all’accoglienza di ogni richiedente asilo solo una parte viene effettivamente spesa per i servizi: se per il cibo è previsto un costo giornaliero di 8-9 euro, ciò che spesso arriva nella pancia del richiedente asilo consiste in tre pasti – colazione, pranzo e cena – del valore totale di 2-3 euro. Difficilmente, inoltre, le proteste sono originate solo dalla scarsa qualità e quantità dei pasti e il caso di Eraclea – 13 luglio – ne è un esempio: i richiedenti asilo hanno posato i vassoi a terra in segno di protesta nei confronti della cooperativa che gestisce il centro Magnolie, a causa del sovraffollamento, delle scarse condizioni igieniche, della mancanza di assistenza medica e, infine, della scarsità del cibo. Era la seconda volta; gli ospiti del centro erano scesi in strada già a inizio luglio, ma non vi era stato alcun cambiamento, questa la ragione alla base del gesto “forte”. L’Ulss, infine, ha fatto un sopralluogo senza rilevare irregolarità, ma consigliando di ridurre in tempi brevi il numero di persone soggiornanti nel centro. Quando questo servizio è stato realizzato, questa versione dei fatti – quella rispondente alla realtà – era già nota da tempo.
Immagini: gruppo di ragazzi neri seduti in un aiuola, un pasto consumato solo in parte, la seconda protesta di Eraclea coi vassoi a terra. Parlare di decine di “rivolte” non sarà un po’ eccessivo? Nelle immagini io non vedo alcuna traccia di rivolta. Tra protesta e rivolta ce n’è di differenza.
Ora, tornando al discorso iniziale, questo servizio assai discutibile è un esempio lampante di quanto il giornalismo si presti a essere strumento di propaganda. Indovinate chi lo ha condiviso sul suo account Facebook?
Eh già, Matteo Salvini lo ha sbandierato sulla sua pagina, come sostegno alle tesi della sua personale campagna politica.
Questi i risultati del post: 18239 “Mi piace”, 27564 condivisioni, 891mila visualizzazione. Il servizio ha raggiunto il suo scopo. E anche quello di qualcun altro.
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