Di Rabia Mehmood e Ottavia Spaggiari su Vita
Non più solo Turchia e Libia, potrebbe essere il Pakistan il nuovo alleato di Bruxelles nell’esternalizzazione delle frontiere.
Lo scorso agosto, mentre i talebani conquistavano Kabul, le truppe Nato lasciavano l’Afghanistan e il Paese piombava in quella che è stata definita l’emergenza umanitaria più grave al mondo, per l’Europa si stava profilando una nuova inaspettata intesa politica.
In quei giorni concitati, il governo pakistano aveva aiutato ad evacuare centinaia di funzionari europei e migliaia di afghani che avevano lavorato per gli Stati Uniti.
“Complimenti alle autorità pakistane per la collaborazione straordinaria,” aveva twittato l’ambasciatore tedesco in Pakistan, affermando che, senza l’aiuto di Islamabad, le evacuazioni non sarebbero state possibili. Il primo ministro pakistano, Imran Khan, aveva ricevuto una chiamata di ringraziamento anche da parte del presidente del Consiglio Europeo e, dopo anni di relazioni tese, in appena una settimana, i ministri degli esteri di Germania, Gran Bretagna e Olanda avevano visitato la capitale del Pakistan, promettendo ricompense per l’impegno nella crisi umanitaria afghana.
L’improvviso disgelo dei rapporti era stato così repentino e clamoroso che, il giornalista Saim Saeed, sul quotidiano americano Politico, aveva definito il Pakistan, “Il nuovo inaspettato migliore amico dell’Europa,” sostenendo però che l’aiuto nell’evacuazione non fosse l’unica ragione della ritrovata armonia tra Islamabad e Bruxelles, arrivata dopo anni di freddezza. Secondo Saeed e diversi analisti, già dallo scorso agosto, l’Europa aveva individuato nel governo pakistano un’altra potenzialità: il Pakistan rappresentava un nuovo potenziale alleato chiave dell’UE nelle politiche di esternalizzazione delle frontiere e nel contenimento dei rifugiati afghani diretti in Europa.
Per Jeff Crisp, ricercatore al Centro di Studi per i Rifugiati dell’Università di Oxford, la strategia europea era chiara. L’emergenza Afghanistan riportava alla memoria la crisi siriana e l’ingresso in Europa, di oltre 1milione di rifugiati nel 2015. “All’epoca, l’UE era stata presa letteralmente alla sprovvista dall’arrivo di così tanti rifugiati,” ha dichiarato Crisp ad Al Jazeera “Con la presa dei Talebani, la priorità per l’Europa è di evitare che si ripeta lo stesso scenario.”
È così che, il 31 agosto, mentre migliaia di profughi afghani cercavano disperatamente di entrare nell’aeroporto di Kabul e salire su un aereo che li avrebbe portati in salvo, i ministri dell’Interno dell’Unione Europea si incontravano in una riunione straordinaria del Consiglio. All’ordine del giorno, la possibilità di resettlement futuri e, soprattutto, l’intenzione di sostenere nel rafforzamento delle frontiere, non solo l’Afghanistan, ma anche i Paesi confinanti e quelli che avrebbero affrontato un’eventuale nuova crisi rifugiati. Poche settimane dopo, la presidente della Commissione Europea annunciava lo stanziamento di un pacchetto da 1 miliardo di euro per l’Afghanistan e le nazioni limitrofe. “I vicini diretti dell’Afghanistan sono stati i primi ad offrire sicurezza agli afghani in fuga,” si legge nel comunicato della Commissione, “Ecco perché a questi Paesi verranno destinati fondi aggiuntivi nella gestione delle frontiere.”
Il linguaggio ricorda gli assai controversi accordi con Turchia e Libia. Non è la prima volta, infatti, che l’Unione Europea premia lautamente un Paese terzo per allontanare i flussi migratori, a scapito del diritto internazionale e dei diritti umani. È del 2016 il patto da 6 miliardi di Euro con la Turchia per fermare le partenze dalle coste turche di richiedenti asilo, in gran parte siriani. Dal 2017, invece, l’UE ha versato circa €57 milioni alle autorità libiche per frenare gli sbarchi dalla Libia, ignorando gli appelli umanitari e, addirittura, il fatto che, in Libia, i migranti siano detenuti in centri di detenzione dove, secondo le Nazioni Unite, vengono commessi “crimini contro l’umanità.
Negli ultimi quarant’anni, dall’inizio dell’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, il Pakistan è diventato una destinazione chiave per gli afghani in fuga da guerre, disordini e violenza. Oggi, oltre 1.4 milioni di rifugiati afghani vivono nel Paese. Dall’inizio del 2021 ad oggi, l’UNHCR ha registrato l’ingresso in Pakistan di oltre 105mila rifugiati afghani. I profughi continuano ad arrivare, principalmente via terra, varcando il confine nelle città di Torkham, nel Pakistan Nord-Occidentale e di Spin Boldak-Chaman, nella provincia sud-occidentale del Balochistan.
Guardando al desiderio di Bruxelles di esternalizzare le frontiere, mai come ora, il Pakistan si trova nella posizione di fare cassa sulla presenza di rifugiati e richiedenti asilo sul proprio territorio.
Secondo Politico, con un occhio alla Turchia e uno alla Libia, il governo pakistano sta già negoziando con l’obiettivo di ottenere una serie di benefici non solo economici, ma anche diplomatici e reputazionali in cambio del contenimento dei profughi nel Paese.
Prima della crisi afghana, Bruxelles aveva condannato l’abuso sistematico dei diritti umani e la costante ambivalenza del Pakistan sulla situazione in Afghanistan, dove Islamabad offriva sostegno sia alla NATO che ai Talebani. Lo scorso Novembre, una delegazione del Parlamento Europeo in Pakistan aveva denunciato, ancora una volta, il pericoloso deteriorarsi della situazione dei diritti umani nel Paese, in particolare la persecuzione delle minoranze religiose e la repressione della libertà di stampa. Ma l’esternalizzazione delle frontiere è una strategia che finisce per indebolire il sistema di monitoraggio dei diritti umani della comunità internazionale. Secondo Akkerman la necessità di trovare nel Pakistan un nuovo alleato nella gestione dei flussi, spingerà sempre più l’UE a guardare dall’altra parte.
“Per anni l’Europa ha criticato il Pakistan e adesso, improvvisamente, lo ritiene un buon Paese,” dice Akkerman, “Esternalizzare le frontiere significa scendere a compromessi durissimi.”
La crescente militarizzazione delle frontiere è già iniziata. Da quando i Talebani hanno ripreso il potere, attraversare le frontiere con il Pakistan è diventato sempre più difficile. Islamabad ha iniziato a rafforzare i confini, respingendo i profughi e deportando chi è sprovvisto di un visto. La crescente fortificazione delle frontiere sta già spingendo sempre più afghani nelle mani dei trafficanti. Un rapporto recente del think tank Mixed Migration Center ha rilevato un aumento nel costo dei viaggi organizzati dai trafficanti. Mentre nel 2020 un attraversamento da Spin Boldak a Quetta costava tra gli 85 e I 105 dollari, oggi costa tra i 90 e in 125 dollari. Secondo lo stesso rapporto, anche le rotte verso ovest stanno cambiando. Mentre prima, i trafficanti trasferivano le persone dall’Afghanistan all’Iran attraverso il Pakistan, sempre più spesso adesso, cercano di evitare il Pakistan, trasferendo le persone direttamente in Iran, una rotta più breve ma molto più pericolosa. In questo caso infatti i richiedenti asilo devono utilizzare tunnel sotterranei per oltrepassare i muri al confine con l’Iran.
Per chi invece riesce ad entrare in Pakistan, la vita rimane difficile. Spesso dipinti dai media come terroristi e spacciatori e utilizzati come capro espiatorio per spiegare la fragile situazione economica pakistana, i rifugiati afghani sono sottoposti a discriminazioni costanti e, in molti casi, costretti a convivere nel terrore della deportazione. Secondo Human Rights Watch, nel 2016 le autorità Pakistane avevano costretto più di 500mila persone a ritornare in Afghanistan.
Eppure, ogni giorno, migliaia di profughi cercano di lasciare l’Afghanistan. Più dell’80% del Paese, si trova a combattere con una gravissima siccità che sta riducendo drasticamente la produzione alimentare. 22.8 milioni di persone, circa la metà della popolazione, stanno subendo gravi carenze alimentari. Secondo il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, nei prossimi mesi, l’Afghanistan potrebbe affrontare una povertà universale con il 97% della popolazione sotto la soglia di povertà di 1,90 dollari al giorno.
Dall’inizio della crisi umanitaria, circa 28mila afghani sono state accolte in ventiquattro Paesi dell’Unione Europea. A dicembre, quindici dei ventisette stati membri hanno annunciato l’intenzione di accogliere altri 40mila afghani. Più della metà delle persone arriveranno in Germania, 3.159 approderanno in Olanda e 2.500 in Spagna e Francia. Gli altri undici Paesi hanno invece annunciato che accoglieranno quote più ridotte. La decisione è arrivata dopo che, lo scorso ottobre, l’Alto Comissario delle Nazioni Unite, Filippo Grandi, aveva chiesto all’UE di ricollocare altri 42.500 afghani nei prossimi cinque anni.
Benché il Commissario per gli Affari Interni dell’Unione Europea abbia definito questo nuovo impegno, “un incredibile atto di solidarietà,” i numeri di queste nuove accoglienze impallidiscono di fronte alla portata della crisi umanitaria. Secondo il New York Times, nei quattro mesi tra lo scorso ottobre e gennaio, oltre un milione di persone si sono messe in viaggio verso Ovest.
Tra i leader europei, rimane chiara l’intenzione di bloccare l’arrivo di nuovi rifugiati afghani. Il mese scorso in una riunione del Consiglio di Sicurezza ONU, il Primo Ministro norvegese ha profilato la necessità di nuovi accordi con Paesi terzi per contenere i rifugiati. “Abbiamo bisogno di nuovi patti e impegni per assistere ed aiutare una popolazione civile estremamente vulnerabile,” ha dichiarato. “Dobbiamo fare qualsiasi cosa per evitare una nuova crisi migratoria e una nuova fonte di instabilità, nella regione e oltre.”
Secondo Akkerman, un nuovo accordo tra UE e Pakistan è molto probabile, ma mostra tutta la fragilità delle politiche europee sull’immigrazione. “L’Europa sta correndo da hotspot a hotspot,” dice Akkerman. “Sul lungo periodo questa corsa non è sostenibile.”
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