Il razzismo oggi in Italia non viene efficacemente combattuto né prevenuto, ma gli strumenti giuridici per farlo esistono
di Cristina Perozzi per Articolo 21
Luglio 2019. La Spezia: sul Frecciabianca che da Roma va verso Genova all’improvviso un inserviente in servizio urla ad una ragazza del Mali: “Negra di merda! Tornatene al tuo paese! Devi levarti da qui, schifosa, lascia il posto a chi paga il biglietto”. La donna prova a difendersi e gli replica: “ Sei un razzista! Un fascista!”, e l’uomo continua, gridandole : “Ma quale fascista! Zitta, negra, che c’avete tre strade e le abbiamo costruite noi nel ’39 !”.
Ad Aprilia, un italiano di 39 anni viene arrestato per aver picchiato un bengalese. I testimoni oculari parlano di una violenza feroce ed improvvisa in danno di un immigrato mentre transitava davanti all’aggressore seduto al bar. Questi rincorre la vittima gridandogli pesanti offese razziste e non appena raggiunta, gli sferra una testata in faccia, per poi prenderla a pugni e, una volta caduta a terra, anche a calci sul volto.
A Rivalta (Torino) in un centro commerciale, il titolare e il dipendente di una pizzeria kebab vengono insultati con frasi razziste e poi picchiati a sangue da un 33enne che quasi distrugge anche il locale.
Loano (Savona)”Sporchi la divisa che indossi”, sono le parole che si è sentito rivolgere il 25enne Umar Ghuni, volontario originario del Ghana, e la divisa che indossava qualche settimana fa era della Croce Rossa, un’istituzione che aiutà ed assiste chi ha bisogno in tutto il mondo.
Agosto 2019. Roma, quartiere Pigneto. Sul cofano della propria auto, nel parabrezza della quale era ben visibile l’adesivo della Croce Rossa, un medico trova la scritta “Negro merda! “, incisa presumibilmente con una chiave. Si tratta di Andi Nganso, orginario del Camerun, ma residente in Italia da 13 anni.
Gli episodi di razzismo in Italia sono in aumento esponenziale e forniscono un’immagine preoccupante di un paese che da storicamente solidale e culturalmente accogliente si sta trasformando in una società contaminata dall’odio verso gli stranieri, persino verso chi svolge volontariato.
Diverse agenzie raccolgono i dati relativi a questo fenomeno, ma non esiste un coordinamento delle fonti che permetta anche un valido interscambio delle informazioni.
Dal 2010 presso il Ministero dell’Interno è stato istituito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) che riceve, invero senza un aggiornamento continuo, tutti i crimini di odio segnalati alla Polizia di Stato: unico dato certo è l’aumento di tali reati che dai 736 del 2016, sono passati a 1.048 nel 2017.
Queste “nuove” condotte in Italia violano apertamente l’art. 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che proclama il “Divieto di discriminazione”, statuendo che “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.
E la situazione è talmente grave che sarebbe persino ipotizzabile una responsabilità dello stato italiano per non aver posto in essere tutte le misure necessarie ed idonee al fine di impedire il dilagare di condotte di odio, considerato soprattutto che negli ultimi anni a fungere da “cassa di risonanza” della xenofobia e della intolleranza spesso sono proprio esponenti politici ed istituzionali.
Ma in Italia il razzismo è reato?
Manifestare intolleranza o avversione verso individui o gruppi a causa della diversità della cd. razza, del colore della pelle, del credo religioso, dell’origine nazionale o etnica, oltre a ipoteticamente integrare una condotta discriminatoria illecita dal punto di vista civile nei diversi contesti del lavoro, della scuola o in altri ambiti, è un crimine punito severamente dalla legge, ma solo a determinate condizioni.
La Costituzione italiana per prima condanna ogni forma di razzismo, sancendo all’art 3 che “tutti i cittadini, e per essi si intendono anche gli stranieri sul nostro paese, hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua di religione di opinioni politiche di condizioni personali e sociali”.
Il nostro ordinamento punisce la discriminazione razziale a partire dalla ratifica della Convenzione di New York del 7 marzo 1966, intervenuta con la legge n. 654/ 1975, la c.d. «legge Reale», mediante la quale, con gli altri Stati firmatari, si prese anche l’impegno politico di eliminare ogni forma di razzismo, assumendosi l’obbligo di:
- non attuare pratiche di discriminazione razziale verso individui, gruppi o istituzioni e lavorare affinché tutte le istituzioni pubbliche, nazionali e locali si uniformino;
- non incoraggiare, non difendere e non appoggiare la discriminazione razziale attuata da individui o organizzazioni;
- adottare misure nuove ed efficaci per rivedere le politiche governative nazionali e locali e per modificare, abrogare o annullare ogni legge ed ogni normativa che crei o mantenga una discriminazione razziale ;
- vietare e porre fine con ogni mezzo – compresi nuovi strumenti normativi – alla discriminazione razziale praticata da individui, gruppi o organizzazioni;
- favorire le organizzazioni e i movimenti integrazionisti multietnici impegnati ad eliminare le barriere razziali e combattere tutto quanto rafforzi la separazione razziale.
Intervenne poi la legge 205/1993, cd «Legge Mancino» che modificò le sanzioni ed estese anche le suesposte misure alle discriminazioni religiose, introducendo una specifica circostanza aggravante a tutti i reati commessi con il fine della discriminazione razziale.
Sebbene la legge 205/1993 cd. Mancino condanni il cd. esibizionismo razzista, ossia tutti i gesti, le azioni e gli slogan legati all’ideologia nazifascista che incitano alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, punendo anche l’utilizzo di simbologie legate a suddetti movimenti politici, nel 2014 la Lega Nord – ed oggi di nuovo l’ex ministro Fontana – propose un referendum abrogativo, eccependo che si trattasse di una legge “liberticida” ed incostituzionale perché in contrasto con l’art. 21 della Costituzione a garanzia della libertà di manifestazione del pensiero.
Importante invece mettere in rilievo che la legge “vieterebbe” persino l’accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche con “emblemi o simboli” che incitino alla violenza o rimandino ad ideologie razziste, punendo chi trasgredisce con la reclusione fino a un anno.
Oggi più che mai, soprattutto a livello preventivo, è necessario rimarcare e diffondere i contenuti di questa legge, auspicando che si applichi anche ai reati basati sulla discriminazione sessuale e di genere, alla luce delle nuove manifestazioni di intolleranza avverso ogni altra forma di diversità.
I cd. delitti contro l’eguaglianza e la propaganda razzista
Con il decreto legislativo 21/2018 i contenuti della Legge Mancino sono trasfusi nei nuovi artt. 604bis e 604ter del codice penale, ossia i reati in tema di discriminazioni razziali, etniche, nazionali e religiose.
Intitolati “Dei delitti contro l’eguaglianza”, i due nuovi articoli sono rubricati rispettivamente “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa” e “Circostanza aggravante” e puniscono, salvo che il fatto costituisca più grave reato:
- chiunque propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione fino ad un anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro);
- chiunque, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione da 6 mesi a 4 anni);
- chiunque partecipa o presta assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione da 6 mesi a 4 anni);
- chiunque promuove o dirige organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione da 1 a 6 anni).
La pena della reclusione va da due a sei anni se la propaganda, ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi con un concreto pericolo di diffusione, si fondano sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra
Ma cosa è la “propaganda razzista” ?
Si intende una condotta di manifestazione pubblica di personali convinzioni con fine di condizionare l’opinione pubblica e modificare le idee e i comportamenti dei destinatari e questa divulgazione costituisce reato perché è suscettibile di ingenerare sentimenti di avversione e di odio sociale mediante una “ induzione” ed una continua“persuasione” che li giustifichi ed in qualche modo li legittimi.
Si può giuridicamente parlare di due tipi di propaganda: la cd. supremazionista e quella basata sull’odio razziale.
Il primo reato è una forma di razzismo che si fonda sulla asserita superiorità di una “razza” rispetto ad un’altra, mentre l’odio razziale consiste in un sentimento di ostilità che, per assumere rilevanza penale, deve trascendere la semplice avversione o antipatia e sfociare nel desiderio di morte o di danneggiamento della persona discriminata, assumendo le connotazioni tipiche di una minaccia.
È errato pensare che la propaganda debba essere una condotta reiterata nel tempo, perché sempre la Corte di Cassazione ha sancito che “anche un’isolata manifestazione a contenuto razzista, se resa in luogo pubblico o aperto al pubblico, può integrare il reato in commento”.
E così anche un singolo atto di razzismo può integrare reato di propaganda razzista. .
Di fondamentale importanza, soprattutto per la potenziale estensione a numerose fattispecie di reato, è la circostanza aggravante della finalità di discriminazione razziale o di odio etnico prevista dall’art. 604 ter cp che aumenta la pena fino alla metà per qualsiasi reato e non ne consente l’eliminazione ad opera di nessuna concedibile attenuante, vietando quindi l’istituto del cd. bilanciamento fra le circostanze.
Apostrofare un cittadino straniero con espressioni del tipo «che vieni a fare in Italia?» o «devi andartene via», quindi oggi fa scattare l’aggravante dell’odio razziale nella commissione di un altro reato in danno di cittadini extracomunitari e la Corte di Cassazione ( sent. n. 32028/ 2018) lo ha sancito condannando in via definitiva un 45enne di Gallarate che, nel 2010, in concorso con un altro cittadino italiano, aveva colpito con un manganello e preso a pugni due bengalesi in un circolo sociale frequentato da stranieri.
Questa circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale e razziale è configurabile – afferma la Corte – in espressioni che rivelino la volontà di discriminare la vittima in ragione della sua appartenenza etnica e non ricorre solo allorché l’espressione riconduca alla manifestazione di un pregiudizio sull’inferiorità di una determinata razza, ma anche quando “la condotta, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio etnico, e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori”.
Nei seguenti casi è stata riconosciuta l’aggravante :
- diffamare una cittadina italiana con origini africane e aggredirne la reputazione, pubblicando nel profilo di un noto social network l’espressione «se ne torni nella giungla dalla quale è uscita» e inserendo nel profilo Facebook le parole pronunciate da un senatore della Repubblica che paragonavano la stessa persona ad un «orango» (Cass. penale sez. V, sent. n. 7859 del 19 febbraio 2018);
- pronunciare frasi pesantemente offensive («negro puzzolente, sporco negro, ti spedisco a casa in scatola, ti spacco la testa negro») nei confronti di un cittadino camerunese vittima dei reati di ingiuria, minaccia e violenza privata (Cass. penale, sez. V, sent. n. 49503 del 27 ottobre 2017);
- rivolgere ad una donna africana il dispregiativo epiteto di «negra puttana» da parte di due cittadine italiane condannate per i reati di ingiuria e di lesioni personali (Cass. penale, sez. V, sent. n. 13530 del 20 marzo 2017);
- rivolgersi con le espressioni «marocchino di merda» e «immigrati di merda» ad un cittadino del Marocco vittima dei reati di minaccia, ingiuria e percosse con utilizzo, da parte di una donna italiana, di corpo contundente (Cass. penale, sez. V, sent. n. 43488 del 28 ottobre 2015);
- stalkizzare (spruzzandole addosso deodorante o insetticida al suo passaggio per le scale, sputandole in faccia, colpendola con il manico della scopa, parcheggiando la propria autovettura dietro quella della vittima in modo da impedirle l’uso per recarsi al lavoro, cagionandole un perdurante e grave stato d’ansia e ingenerando un fondato timore per l’incolumità dei figli minori) una donna africana, rivolgendosi a lei con espressioni del tipo «scimmie andate nella giungla», «vai via di qui che puzzi» (Cass. penale, sez. V, sent. n. 25756 del 18 giugno 2015);
- utilizzare l’espressione «sporco negro», in quanto idonea a coinvolgere un giudizio di disvalore sulla razza della persona offesa, in relazione ai reati di lesione e di ingiuria commessi in danno di un cittadino africano (Cass. penale, sez. V, sent. n. 41635 del 6 ottobre 2014);
- schernire e fare oggetto di sputi un ragazzo nigeriano, compagno di classe, apostrofato abitualmente nel corso dell’anno scolastico con espressioni quali «negro di merda» da un gruppo di minori in relazione ai reati di ingiuria continuata e violenza privata (Cass. penale, sez. V, sent. n. 25870 del 12 giugno 2013);
- aggredire, col chiaro intento di allontanare da una determinata zona frequentata da connazionali, due cittadini di origine maghrebina, ricorrendo a frasi come «sporco negro» o «stronzo negro» in relazione al reato di lesioni personali (Cass. penale, sez. V, sent. n. 30525 del 15 luglio 2013);
- utilizzare l’espressione «sporco negro» nel contesto di una tentata rapina compiuta ai danni di un cittadino africano (Cass. pen. Sez. II, sent. n. 2798 del 21 luglio 2010);
- apostrofare uno straniero con l’epiteto di «selvaggio» in relazione ai reati di ingiuria e lesioni compiuti ai suoi danni (Cass. penale, sez. V, sent. n. 5302 del 1° febbraio 2008);
- compiere violenza privata nei confronti di persone di colore utilizzando espressioni, come «schiaccio il negro», dal chiaro tenore sprezzante (Cass. penale, sez. V, sent. n. 2745 del 7 ottobre 2008);
- utilizzare, nel commettere il reato di ingiuria, la locuzione «sporca negra» che implicitamente e inequivocabilmente risulta connessa ad una connotazione negativa della persona (Cass. penale, sez. V, sent. n. 9381 del 17 marzo 2006);
- utilizzare l’appellativo «marocchino» per rivolgersi con spregio ad una persona avente tale nazionalità, in luogo del suo nome e cognome, accompagnando il tutto con atteggiamenti di scherno e derisione integranti il reato di ingiuria (Cass. penale, sez. V, sent. n. 19378 del 20 maggio 2005).
Questa nuova disciplina penale, secondo la relazione al progetto di legge, persegue l’obiettivo di contrastare e sanzionare l’hate speech in tutte le sue manifestazioni, e di promuovere iniziative educative e formativo ai fini preventivi, ma anche di combattere condotte gravemente lesive delle dignità delle persone e dei gruppi sociali che rappresentano un serio pericolo per la sicurezza e la convivenza sociale.
La nozione di hate speech – in italiano comunemente tradotta con «discorso d’odio» – trae origine dalla giurisprudenza americana, ed indica tutte quelle parole, espressioni, post sui social ed altre forme comunicative che hanno lo scopo di esprimere odio e intolleranza e di incitare alla violenza o alla discriminazione nei confronti di una persona o di un gruppo sociale per motivi razziali, etnici, religiosi, di genere, di orientamento sessuale, legati alla disabilità o alle condizioni personali o sociali.
Oggi però tutto è di nuovo cambiato e la singola offesa allo straniero non è più perseguibile come reato, mentre residuano solo l’intolleranza e l’odio xenofobo sotto forma di propaganda, contro cui, come sopra analizzato, si può procedere penalmente contro il colpevole.
E per gli insulti razzisti ?
Con il cd. decreto svuota carceri (D.lgs. n. 7/2016 del 15/01/2016) l’ingiuria non è più prevista come reato, per cui oggi rappresenta un mero illecito civile.
Oggi non c’è più la possibilità di querelare chi pronuncia parole offensive o insulti mentre resta punita la diffamazione, quando in assenza della vittima se ne parla male davanti ad almeno due persone ( anche sul web), e la minaccia o l’intimidazione che spesso seguono un’ingiuria.
La risposta allora ci viene ancora una volta dalla Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 2461/19 per la prima volta dopo la decriminalizzazione del delitto di ingiuria, affronta la questione delle offese razziste.
E così: pronunciare la frase: “Sporco negro, ti do fuoco!” oggi non è più reato per la parte “sporco negro” ma – solo – per aver minacciato di dargli fuoco, mentre di fronte ad una ingiuria semplice, se non ci sono testimoni che sentono l’insulto e magari la conversazione non è stata registrata, la vittima incontrerà rilevanti difficoltà ad ottenere il risarcimento dei danni perché nel processo civile, che è deputato al solo ristoro economico, non è ammessa la dichiarazione delle parti in giudizio come fonte di prova.
Il razzismo oggi in Italia non viene efficacemente combattuto né prevenuto, ma viene purtroppo incentivato, oltre che dall’involuzione subculturale degli anni recenti dall’inefficace quadro delle norme giuridiche attuali.
Ma gli strumenti giuridici, soprattutto di rilievo internazionale, esistono: va solo subito realizzato un cambiamento culturale dell’opinione pubblica, prima ancora che inclusa nei programmi politici una valida manovra di contrasto, posto che si tratta di una vera e propria emergenza sociale, una di quelle reali.