È corretto definire l’attacco al giornale satirico Charlie Hebdo “11 settembre d’Europa”? Può essere considerato il segno del fallimento delle politiche d’integrazione europee?
Intervista con Anna Triandafyllidou, direttrice dell’area di ricerca Cultural Pluralism del Global Governance Programme del Robert Schuman Centre for Advanced Studies (RSCAS) – Istituto universitario europeo.
La strage di Charlie Hebdo è stata definita dai media “11 settembre europeo” perché considerata un attacco alle libertà fondamentali. È d’accordo?
«No, abbiamo già avuto episodi simili in Europa (le esplosioni di ordigni a Londra nell’estate 2005 e a Madrid nel marzo 2004) e anche negli anni Ottanta e Novanta la Francia conobbe il terrorismo con le esplosioni sui treni da parte di militanti franco-algerini. Purtroppo impareremo a convivere con qualche attacco terroristico qua e là. Forse è il prezzo da pagare per non avere guerre o altri confronti violenti. Certo, sarebbe meglio se disagi e conflitti socio-politici nazionali o globali si esprimessero in modo democratico, anche con proteste violente, ma non in chiave terroristica. Il terrorismo è un crimine e va contro la democrazia.
Voglio ricordare che anche la democrazia italiana è stata alle prese con il terrorismo politico o con quello di stampo mafioso, per un lungo periodo. Ne uscì a mio avviso più forte, anche se il prezzo da pagare è stato altissimo.
Bisogna porre Charlie Hebdo nel suo contesto e cercare di comprendere quanto accaduto senza lasciar spazio a eccessivo allarmismo».
L’11 settembre sembra aver rappresentato la fine della teorizzazione delle strategie nazionali di integrazione. La messa in discussione e il superamento del cosidetto modello multiculturalista di stampo anglosassone e di quello assimilazionista francese vengono confermati all’indomani degli attentati terroristici e delle rivolte nelle banliues. Esistono ancora delle differenze di “modello” tra i paesi europei?
«Non sono d’accordo. Il 9/11 è un evento molto diverso di quello di Charlie Hebdo. L’attacco alle Twin Towers era un attacco non solo alla democrazia, ma a tutto un sistema di capitalismo e di imperialismo economico e politico globale che ha segnato gli anni dopo il 1989.
Gli eventi di Charlie Hebdo parlano di problemi politici che si prospettano in Francia e in Europa e che sono legati pure al conflitto in corso nel Medio Oriente. Io leggerei Charile Hebdo anche come una tensione interna tra popolazioni e paesi di cultura e religione musulmana. Questi paesi hanno dato lezioni di democratizzazione e mobilitazione civile durante la primavera araba, ma purtroppo questa bella favola non è durata e tuttora vi sono forze opposte che operano al loro interno. Questo disagio interno all’Unione Europea, insieme alle tensioni preesistenti legate all’integrazione producono eventi come quelli di Charlie Hebdo.
È necessario enfatizzare il fatto che questa strage, un momento tragico, rappresenta la volontà di persone estremiste, terroristi, non le comunità musulmane europee».
È utile individuare un modello di integrazione? Qual è la sfida culturale che si deve porre l’Europa per affrontare con creatività e successo le sfide che l’immigrazione e la globalizzazione pongono?
«Credo che l’assimilazionismo culturale e politico del modello francese debba essere riconsiderato. Se è vero che non esiste un modello “one size fits all” e che sia assimilazionismo che multiculturalismo hanno pregi e difetti, mi sembra che il modello anglosassone riesca a mobilitare meglio la società civile, a coinvolgerla, risolvendo le tensioni e i conflitti e integrando meglio le persone e le comunità nello stato e nella società civile, arrivando persino a cambiare la stessa identità nazionale in chiave multiculturale e multireligiosa.
Io, comunque, vedo un grande successo nell’integrazione sia in Francia che nel Regno Unito, con i loro diversi modelli: tante persone di origini e convinzioni varie sono orgogliose di dire “sono francese” o “sono inglese” e apportano a queste due società ricchezza culturale ed economica. È questo il successo delle democrazie europee e non dobbiamo perderlo. Il rischio, dopo Charlie Hebdo, non è il terrorismo, ma il sacrificio della nostra democrazia al tempio della paura e dell’odio».