Rilanciamo di seguito l’articolo del giornalista Simone Mosca pubblicato oggi sul Venerdì di Repubblica, in cui vengono citati i risultati del report Notizie da paura 2017.
di Simone Mosca
Scorre placido il Ticino, gli studenti lasciano le aule dell’Università, si abbassano le saracinesche delle vecchie botteghe, è solo mezzogiorno e mezzo ma nell’aria c’è già quell’inconfondibile suono di posate e stoviglie che dà il via al sonnolento rito del pranzo in provincia. Ma come si fa ad avere paura dei migranti a Pavia? «E invece è proprio così, e non solo a Pavia, in tutta Italia. Nel 2017 i crimini sono calati: gli omicidi dell’ 11,8 per cento, i delitti del 9, le rapine dell’11, i furti del 9. Gli sbarchi sono passati da 181 mila 436 a 119 mila 310, calando del 34 per cento. Solo la paura dello straniero è salita: quasi al 40.
«È che amiamo troppo i racconti di cronaca nera, migliaia di servizi, e finiamo coll’esserne condizionati. In Germania il tg nazionale cita casi di cronaca una ventina di volte all’anno». Andrea Caretta è presidente dell’Osservatorio di Pavia, l’istituto di ricerca indipendente che da oltre 30 anni si occupa dell’analisi dei media nazionali (web, tv, radio, stampa) per valutare il rispetto del pluralismo sociale, culturale e politico in relazione a temi come i diritti, l’economia, le questioni di genere. E ovviamente l’immigrazione. Si scandagliano i contenuti di quotidiani, telegiornali, testate online, in parte anche i social, si misurano le opinioni dei cittadini con dei sondaggi, si incrociano i risultati con i dati reali del ministero degli Interni. E alla fine grafici, torte, statistiche assortite dicono che l’Italia è una Repubblica fondata sulla percezione schizofrenica della realtà, non sui fatti. Un Paese rapito dallo spavento, incapace di valutare la complessità dei fenomeni e convinto che un episodio riassuma la verità del mondo.
La sede dell’Osservatorio è in via Roma 10, a pochi passi da via Strada Nuova 65 dove alcune delle 13 facoltà dell’ateneo locale affondano le radici nel 1361. Caretta siede a un tavolo della sala riunioni con Mirella Marchese, vice presidentessa, Antonio Nizzoli, responsabile dei rapporti con la Rai, Paola Barretta, ricercatrice che supervisiona molti dei report periodici dell’Osservatorio. I cui inizi risalgono a una delle più celebri anomalie italiane.
«Sì, Silvio Berlusconi. La nostra cooperativa era già nata nel 1985 in seno all’Università. Ma allora ci occupavamo solo del pluralismo all’interno dei programmi Rai. Poi arrivò il 1994. E Berlusconi scese in campo. Un monopolista dell’informazione candidato premier. Un equivalente dell’Agcom non esisteva ancora e decidemmo di estendere il nostro campo di indagine andando in qualche modo a tappare un buco nel sistema di controllo. Fu una prima volta per le democrazie occidentali e quell’esperienza ci trasformò in un avanguardia internazionale».
L’Osservatorio oggi collabora con 80 paesi, con l’Ocse, con l’Unione europea, impiega in pianta stabile 20 ricercatori, ha digitalizzato 600 mila ore di televisione, indicizzato un milione di notizie, tiene sotto controllo qualcosa come centomila soggetti. E da cinque anni, con la collaborazione di Demos e Unipolis, cura i rapporti annuali della Carta di Roma, associazione fondata nel 2011 per verificare la qualità del racconto dell’immigrazione sulla stampa. L’ultimo, uscito alla fine dello scorso, si intitolava Notizie da paura.
È dunque precedente ai “fatti di Macerata“, nell’ordine l’omicidio di Pamela Mastropietro e la tentata strage a sfondo razziale di Luca Traini. «Non abbiamo ancora raccolto dati spendibili sul fatto. Però can casi simili abbiamo già avuto a che fare». Uno risale al 2007. È il 30 ottobre, Tor di Quinto, Roma. Sono le 7 di sera e Giovanna Reggiani 47 anni, viene violentata e uccisa da Romulus Nicolae Mailat, muratore rumeno di 24 anni che vive nel campo rom vicino alla stazione dove la donna è appena scesa. Nei telegiornali Rai e Mediaset, orario prime time, il caso spinge la quota di servizi dedicati all’emergenza criminalità a 3.497. Per il 53,1 per cento degli italiani la sicurezza diventa la priorità assoluta. «È probabile che l’omicidio di Pamela abbia innescato lo stesso effetto».
Il caso di Traini invece propone una novità pericolosa. Somiglia a un altro caso. Fermo, 5 luglio 2016, primo pomeriggio. Per strada scoppia una lite tra Amedeo Mancini, 39enne ultrà della Fermana, ed Emmanuel Chidi Nnamdi, nigeriano di 36 anni che passeggia con la compagna. Mancini lo definisce “scimmia”, lo ammazza di botte, è un orrendo omicidio con aggravante razziale. Su Twitter però nei giorni successivi inizia a circolare un hashtag incredibile, #iostoconamedeo, che raccoglie migliaia di adesioni. «Allora la diga del giornalismo tradizionale funzionò. La condanna fu unanime, ci fu una definizione univoca del gesto. L’impressione stavolta è che la tentata strage di Traini sia stata condannata ma con molti distinguo e attraverso molteplici definizioni». Tentato omicidio, ferimento, tentata strage, terrorismo e via dicendo. «È probabile che in questo abbia pesato la prossimità delle elezioni, dove questi casi sono funzionali alla polarizzazione». Lo diventano con la complicità dei media. «Su tutti la tv conserva un ruolo predominante».
Sui telegiornali una notizia su tre relativa alle migrazioni prevede una voce politica, solo il 7 per cento delle volte viene fatto parlare un migrante. «In questo senso è importante parlare di notizie mancanti più che di notizie false. Un esempio. La maggior parte dei minori non accompagnati che migrano in Italia provengono dal Gambia. In cinque anni sui Tg il Gambia è stato nominato cinque volte».
Il tema dei migranti sui giornali è stato analizzato soprattutto attraverso i titoli dei quotidiani nazionali e locali. “Migrante” è la parola più ricorrente sulle prime pagine del 2017. È comparsa 2.455 volte. «In ambito linguistico, la situazione è migliorata. Termini come clandestino sono usciti dal vocabolario. Ma la nostra analisi non riesce ad entrare nello specifico di tutti gli articoli dove le brutte abitudini possono sopravvivere». L’Osservatorio non può ancora penetrare le maglie chiuse di Facebook: «L’unica ricerca che abbiamo ci dice che ogni 100 commenti o post di cui viene chiesta la rimozione, solo 72 vengono eliminati entro le 29 ore». Un tempo sufficiente a fabbricare migliaia di opinioni.
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