A cura di Valigia Blu, articolo in partnership con i quotidiani locali del gruppo Espresso
Ha collaborato Andrea Zitelli
“Ci invadono”, “ci rubano il lavoro”, “portano malattie”. Queste sono alcune delle paure e slogan che si sentono spesso ripetere nel dibattito pubblico sul fenomeno della migrazione. Si smette di guardare i migranti come persone con storie di vita e progetti personali e li si incasella in categorie generiche e disumanizzanti. Alla base di questi pregiudizi vi è una pericolosa generalizzazione fondata sulla stretta correlazione tra aree geografiche, società e culture. E così si fa riferimento a categorie etniche (per esempio i curdi), religiose (il mondo islamico), razziali (l’Africa nera) per associare, ad esempio, gli afgani ai talebani; arabi e africani ai musulmani e, per estensione, ai terroristi islamici; i siriani alla categoria dei rifugiati e tutti gli altri a quella dei cosiddetti migranti economici. Per questo è fondamentale, per la salute della stessa democrazia, partire da dati corretti e da analisi che descrivano la complessità e la portata di un tale fenomeno.
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