Alcune notizie aprono degli spiragli di luce nell’oscurità creata dalla crisi e dalla paura dell’“altro” alimentata da più parti. Martedì 18 marzo Il Gazzettino nell’articolo intitolato «Il Nordest apre agli immigrati: più una risorsa che una minaccia» riporta i dati della ricerca condotta dall’Osservatorio sul Nordest curato da Demos per Il Gazzettino (maggiori informazioni al link http://www.demos.it/a00968.php).
Cosa emerge? Che un quarto degli intervistati ritiene gli immigrati “una minaccia per l’occupazione” mentre il 42% “una risorsa per la nostra economia”. I dati sono meno positivi rispetto ad un anno fa ma sicuramente migliori di quelli riscontrati nel 2011 o a fine anni ’90. Vengono individuati tre orientamenti concernenti l’immigrazione: uno “ottimista”, uno “pessimista” e uno “ambiguo”. È interessante rilevare come tra i “pessimisti” vi sia un numero consistente di adulti, lavoratori autonomi, disoccupati e persone con un livello di istruzione meno elevato mentre tra gli “ottimisti” prevalgano i giovani under 25, le persone tra i 35 e i 44 anni e coloro in possesso di un alto livello di istruzione.
La ricerca – pur basandosi su un campione di soli 1005 intervistati – offre comunque spunti di riflessione interessanti e, cosa ancora più importante, permette di occuparsi in maniera più completa, oggettiva e non “sensazionalistica” della questione concernente il contributo degli immigrati alla vita economica e sociale italiana.
Affrontare tali tematiche in modo corretto permette infatti di uscire dal “circolo vizioso” che relega l’immigrazione e gli immigrati al ruolo di notizia solo nelle pagine di cronaca nera o solo quando le parole-chiave sono “sicurezza”, “emergenza”, “invasione” ecc.
Basterebbe quindi fornire alcuni dati per capire che la realtà è ben diversa da quella che a volte la politica e i mass media dipingono. Sempre su “Il Gazzettino” si riportano i dati delle aziende fondate da stranieri: sono più di 376.000 solo nel primo semestre 2013 e il Veneto è la quinta regione italiana per numero di imprese gestite da immigrati.
Ricordiamo, a proposito di dati, che gli immigrati contribuiscono al fisco italiano per 13,3 miliardi a fronte di una spesa dello Stato di 11,9 miliardi, portando dunque un attivo in cassa di 1,4 miliardi di euro.
L’apporto della popolazione immigrata alla crescita globale è sottolineato – con un particolare riferimento al Nordest – nell’articolo «Immigrati a Nordest: un nuovo capitale economico e sociale», dove si smentisce il luogo comune che in tempi di crisi “gli immigrati rubano il lavoro agli italiani”.
Dal momento che nel Nordest il numero di posti di lavoro persi da italiani e immigrati è proporzionale alla loro presenza sul territorio (circa il 10%). Semmai, ci viene da aggiungere, con la crisi è aumentata la ricattabilità dei lavoratori immigrati, costretti a lavorare in condizioni sempre più precarie e svantaggiose e perennemente vincolati – a differenza dei cittadini italiani – ad una normativa che lega indissolubilmente la possibilità di permanere in Italia con il possesso di un contratto di lavoro.
Significativo anche il riferimento al contributo degli immigrati allo “svecchiamento” della nostra popolazione, aspetto al quale va aggiunto l’arricchimento socio-culturale derivante dalla presenza sempre maggiore di bambini/e e ragazzi/e immigrati/e e di seconda generazione nelle nostre scuole.
Questi aspetti vengono evidenziati anche da Franco Pittau, coordinatore del Dossier Statistico UNAR – IDOS 2013, il quale afferma che “la maggiore valorizzazione dell’immigrazione avviene quando la si considera uno stimolo, perchè conduce ad interrogarci sulla nostra maniera di pensare, di comportarci, di fare politica e imprenditoria”.
A proposito del Dossier UNAR – IDOS 2013, vale la pena ripendere alcuni dati particolarmente siginificativi riguardanti l’ambito lavorativo. Solo l’1,8 % degli immigrati svolge professioni qualificate pur avendo in molti casi titoli di studio e competenze professionali di medio-alto livello. Infatti in Italia il 32% degli uomini e il 49% delle donne tra la popolazione immigrata sono sovraistruiti, vale a dire possiedono un livello di istruzione più elevato rispetto al lavoro realmente svolto. Inoltre sono costantemente meno pagati rispetto agli italiani (968 euro netti al mese di media rispetto ai 1304 degli italiani). E oltre ad essere meno pagati sono anche più precari: negli ultimi 5 anni i lavoratori immigrati occupati temporaneamente sono aumentati del 23% mentre gli occupati stabili solo del 1%. Sono inoltre più che raddoppiati (da 160mila a 382mila) i disoccupati.
Altra questione di estrema importanza – purtroppo mai abbstanza dibattuta e svelata – concerne lo sfruttamento di uomini e donne immigrati. Il Dossier UNAR – IDOS ha ripreso quanto emerso dalle interviste condotte dalla ricerca “Freed” sullo sfruttamento lavorativo e sessuale. Le testimonianze degli immigrati offrono un panorama inquietante fatto di continue violazione dei diritti dei lavoratori da parte di “caporali” e altri datori di lavoro: ricatti, minacce, truffe, pagamenti non corrisposti, ecc. In tale contesto i soggetti più ricattabili – e quindi più schiavizzabili – sono ovviamente i migranti senza regolare permesso di soggiorno.
Ritornando all’intervista a Pittau, si affronta anche un tema di assoluta rilevanza, vale a dire l’incidenza dei mass media negli atteggiamenti nei confronti degli immigrati: «i mass media incidono moltissimo. Molti cittadini prendono posizione sulla base di quanto dice la loro testata preferita. Così avviene anche per i telegiornali».
L’attenzione al linguaggio nei mass media è dunque fondamentale e l’impegno in tal senso deve essere costante e chiaro. Un passaggio cruciale in questa direzione – come evidenziato più volte sia dalla Carta di Roma che dal nostro Osservatorio Antidiscriminazioni veneziano in seguito ad una costante attività di monitoraggio dei media locali – è l’utilizzo di parole corrette nel parlare di migranti e minoranze e quindi l’eliminazione di termini stigmatizzanti (o divenuti tali) quali “clandestino”, “zingaro”, “nomade”, vu cumprà”.
Un’informazione che rispetti la Carta di Roma dovrebbe avere dunque più dati e informazioni e meno supposizioni e luoghi comuni. E dovrebbe dare sempre più spazio alle parole e alle esperienze degli stessi immigrati, che rimangono ancora troppo spesso, loro malgrado, senza voce tra le pagine dei nostri quotidiani.
Davide Carnemolla
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