Comunicato Stampa dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni
In occasione delle odierne celebrazioni per la Giornata Europea contro la Tratta di esseri umani, una delle forme di schiavitù moderna più diffusa del ventunesimo secolo, l’OIM pubblica un briefing su un nuovo fenomeno di sfruttamento recentemente emerso a seguito dell’analisi dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo Centrale.
Nel corso dell’ultimo anno l’OIM, presente nei principali punti di sbarco italiani con diversi team anti-tratta, ha rilevato un aumento della presenza di ragazze provenienti dalla Costa d’Avorio.
“Abbiamo ragione di credere che molte di queste ragazze siano purtroppo vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e a volte anche sessuale”, spiega Laurence Hart, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’OIM.
I numeri relativi agli arrivi via mare dei migranti provenienti dalla Costa d’Avorio rivelano come, a una riduzione del numero complessivo dei migranti di nazionalità ivoriana in ingresso in Italia negli ultimi anni, corrisponda il progressivo aumento della percentuale di donne coinvolte, dall’8% sul totale dei migranti di questa nazionalità sbarcati nel 2015 al 46% del 2019.
“Nella maggioranza di casi il paese di partenza è la Tunisia, e, dai colloqui che abbiamo avuto con queste giovani ragazze, pare evidente che ci troviamo di fronte a quello che può essere definito un fenomeno di re-trafficking”, continua Hart.
“Molte, reclutate nel loro paese per lavorare come domestiche o cameriere, diventano invece vittime di servitù domestica una volta arrivate in Tunisia o in Libia, dove sono sottoposte a maltrattamenti, violenze e privazione della libertà personale, nonché costrette a subire abusi sessuali da parte dei loro sfruttatori. A questa fase ne segue un’altra, che prevede un ulteriore sfruttamento in Europa organizzato da persone che si dicono disposte a farsi carico dell’organizzazione e dei costi della traversata nel Mediterraneo, ma che poi hanno intenzione di sfruttare le vittime una volta giunte in Italia o in altri paesi dell’Unione Europea”.
Dopo lo sbarco in Italia alcune di queste vittime, consapevoli di poter incorrere in una rinnovata condizione di sfruttamento, hanno deciso di chiedere aiuto all’OIM per potersi finalmente liberare dai loro aguzzini.
“La scoperta di questo circuito di sfruttamento”, sottolinea il Direttore OIM, “dimostra ancora una volta come dietro ai numeri degli sbarchi ci siano storie molto drammatiche, di cui spesso si sa troppo poco. Non possiamo fare a meno di pensare alle ragazze ivoriane morte lo scorso 7 ottobre nel corso del naufragio avvenuto al largo di Lampedusa, una tragedia che ci riporta alla memoria l’altro drammatico incidente che nel 2017 causò la morte di 26 ragazze nigeriane, anche loro probabili vittime di tratta.”
“Occorre fare di più per proteggere queste gruppi vulnerabili, che non solo subiscono una lunga serie di abusi e violazioni di diritti umani ma poi si trovano costrette a rischiare di morire in mare”. “Come OIM ribadiamo la nostra volontà a continuare a impegnarci nella lotta alla tratta di esseri umani, promuovendo attività di identificazione e di protezione delle vittime rafforzando l’esistente stretta collaborazione con Procure, Forze dell’Ordine, Ministeri e organizzazioni che lavorano sul territorio.”
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