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Un nuovo canale di ingresso legale per cittadini afghani bisognosi di protezione internazionale provenienti dai campi profughi di Pakistan e Iran o da altri Paesi di primo asilo o di transito. È l’obiettivo del protocollo di intesa firmato il 4 novembre al Viminale, alla presenza della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
In tutto saranno 1.200 i nuovi beneficiari del progetto. “Questo protocollo contiene una novità, prevede l’impegno diretto anche del governo italiano e di organismi internazionali. Si ispira a un principio di collaborazione tra pubblico e privato sociale che rafforza il progetto e lo incardina nelle politiche del governo” sottolinea Daniele Garrone, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia -. La presenza della Ministra attesta la rilevanza di questo passaggio che reagisce alla colpevole inerzia della Europa”.
Il protocollo, firmato oggi, contiene la sintesi di un lavoro coordinato dal dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale insieme ai rappresentanti del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), della Conferenza episcopale italiana, della Comunità di Sant’Egidio, della Federazione delle Chiese Evangeliche, della Tavola Valdese, dell’Associazione ricreativa e culturale italiana (Arci), dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).
“Siamo molto felici di partecipare per la prima volta al progetto dei corridoi umanitari come organizzazione laica – sottolinea Filippo Miraglia di Arci -. Anche se preferiremmo non farlo, perché vorrebbe dire che non c’è nessuno che necessita di protezione”.
Dei 1200 beneficiari circa 400 saranno selezionati tramite le liste dell’Unhcr che lavora nei campi profughi al confine, altre segnalazioni le faranno le associazioni. In particolare si tratterà di persone che hanno collaborato con le ong internazionali e ora sono particolarmente a rischio. “Noi siamo in collegamento e in accordo con le ong italiane presenti a Kabul, accoglieremo le persone nelle nostre case rifugio – aggiunge Miraglia -. Daremo in prevalenza accoglienza a quelle donne che sono militanti, attiviste dei diritti umani, giornaliste e che ora stanno rischiando la vita. Ci occuperemo, poi, di minori non accompagnati e delle persone lgbt che si nascondono a Kabul. Proveremo a farle uscire, tenteremo cioè di fare un vero corridoio dall’Afghanistan”.
Miraglia ricorda che “ i corridoi umanitari sono importanti, ma l’iniziativa resta limitata nei numeri rispetto alle necessità: ci sono 2 milioni di afghani fuori dall’Afghanistan. In Europa l’ unico paese che ne accoglie un numero significativo è la Germania con 148mila presenze. L’Unhcr ha chiesto il reinsediamento per 42mila persone in 5 anni. Servono interventi più cospicui. La crisi è enorme. Inoltre – conclude – oggi più che mai non si possono giustificare i respingimenti alle frontiere in Polonia, sulla rotta balcanica e nel Mediterraneo centrale”.
Impagliazzo (Sant’Egidio): “Un modello per l’Europa”. Intervenendo alla firma, anche il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo ha dichiarato: “La presenza del ministro Lamorgese sottolinea l’importanza di questo momento e il fatto che l’Italia è un paese dalla vocazione umanitaria. Sui corridoi umanitari – una best practice che tanti ci imitano e dovrebbero imitare – misuriamo la sinergia tra società civile e istituzioni”.
E ha aggiunto: “Questo protocollo nasce da un sentimento emerso nel popolo italiano ad agosto davanti alle immagini drammatiche provenienti da Kabul. Abbiamo voluto dare una risposta a chi era rimasto in Afghanistan e a chi era riuscito a raggiungere i paesi limitrofi. Dopo aver accolto 100 persone durante le evacuazioni, ci offriamo ora di accoglierne altre 200 con i corridoi umanitari, un sistema che permette, nella via della legalità, accoglienza e integrazione, una pratica innovativa per affrontare il fenomeno dell’immigrazione”.
Mons. Russo (Cei): “I corridoi umanitari diventino strumento strutturale di gestione dell’immigrazione”. “Proseguiamo nella positiva sperimentazione dei corridoi umanitari che, a partire dal 2017, hanno permesso alla Chiesa che è in Italia di farsi prossima a quanti necessitano di protezione internazionale. Grazie a Caritas Italiana, infatti, la Cei ha già contribuito ad offrire un’alternativa legale a oltre mille persone provenienti dall’Etiopia, dal Niger, dalla Turchia, dalla Giordania – ha affermato mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei -. I corridoi umanitari rappresentano una via sicura per coloro che sono costretti a fuggire dalla propria terra e, allo stesso tempo, dimostrano che soggetti istituzionali, governativi e non, della società civile e religiosa possono cooperare fattivamente per trovare soluzioni concrete al dramma delle migrazioni. Per questo auspichiamo che quello dei corridoi umanitari diventi uno strumento strutturale di gestione delle politiche migratorie”.
Unhcr: “Bene, ma continuare a lavorare anche su altri strumenti”. “Lavoriamo da 40 anni al fianco della popolazione afghana, e ci siamo attivati immediatamente anche per rispondere a questa nuova crisi, ma i bisogni crescono di ora in ora e i programmi come questo rappresentano un’ancora di salvezza per le persone in fuga – ha affermato Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per Italia, Santa Sede e San Marino -. Chiaramente i corridoi umanitari non possono da soli rispondere a tutti i bisogni e per questo motivo bisognerà continuare a lavorare su altri strumenti quali il reinsediamento, il ricongiungimento familiare e il sostegno alla popolazione che rimarrà in Afghanistan, più che mai importante perché’ l’inverno è alle porte”.
“Unhcr è molto grato all’Italia per aver già trasferito 5000 persone in serio pericolo e per questo ulteriore impegno nell’offrire un canale di ingresso sicuro a 1200 persone – ha aggiunto Cardoletti -. Non c’è dubbio che questo paese sia in prima linea nell’offrire soluzioni per i rifugiati, spesso in maniera innovativa grazie alla sinergia tra le autorità, la società civile e le organizzazioni internazionali”.Sempre per la rappresentante dell’Unhcr, “sono necessari più posti nei programmi di ingresso regolare quali i corridoi ed il reinsediamento, non solo per dare una risposta urgente ai bisogni delle persone in pericolo ma anche come segnale tangibile di solidarietà nei confronti dei paesi che fino ad oggi hanno sostenuto il peso maggiore dell’esodo della popolazione afgana. Questi programmi offrono un’alternativa credibile al traffico degli essere umani e ai movimenti irregolari. Chiaramente queste misure non possono sostituire la possibilità per le persone in fuga di avere garantito l’accesso alle frontiere per chiedere protezione”.
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