Di Francesco Bechis su Formiche
A fine giornata c’è il compromesso, e non era scontato. Ma nel comunicato finale manca una parola chiave: solidarietà. Il Consiglio Affari interni straordinario dell’Ue sull’Afghanistan si chiude senza grandi battaglie.
La nota conclusiva si apre con una premessa: a dispetto dell’ultimatum dei talebani, l’evacuazione da Kabul continua: “È in corso un lavoro intenso per identificare soluzioni mirate per i casi specifici rimasti di persone a rischio in Afghanistan”.
Cittadini europei, collaboratori afgani delle forze armate dell’intelligence, o semplicemente persone che rischiano la propria vita. Come le 82 studentesse afgane dell’università de La Sapienza che, ha confermato oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini al Copasir, il governo italiano cercherà di strappare alle ritorsioni dell’Emirato islamico.
Poi i due grandi nodi, sciolti solo a metà. Il primo: l’accoglienza. Sullo sfondo del Consiglio aleggia lo spettro del 2015, quando una ciclopica ondata di migranti dalla Siria ha trovato impreparata l’Europa e causato un’ecatombe nel Mediterraneo.
Il comunicato dei Paesi Ue non sposa il motto “aiutiamoli a casa loro”, ma ci si avvicina molto. L’Ue vuole aiutare i rifugiati afgani “vicino” a casa loro: Pakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Iran, ovunque riescano a trovare riparo. “L’Ue si coordinerà e rafforzerà il suo supporto ai Paesi terzi, in particolare a quelli confinanti e di transito, che ospitano un largo numero di migranti e rifugiati, per rinforzare le loro capacità di offrire protezione, condizioni di accoglienza dignitose e sicure, e uno stile di vita sostenibile per rifugiati e comunità accolte”.
È questa la via di mezzo che ha permesso l’accordo con quei Paesi dell’Europa centro-orientale, su tutti Austria, Lituania e Polonia, che hanno alzato le barricate sull’accoglienza dei rifugiati, complice la pressione elettorale interna. Di qui il passaggio successivo: “L’Ue coopererà con questi Paesi per prevenire l’immigrazione illegale dalla regione, rafforzare la gestione dei confini e impedire il traffico di migranti ed esseri umani”.
L’azione “coordinata e ordinata” dell’Unione ai nuovi flussi migratori si costruirà su tre punti. Controllo delle frontiere con Frontex, aiuti ai Paesi confinanti e “campagne mirate di informazione” per combattere “le narrative usate dai trafficanti”. Oltre ovviamente a controlli serrati dell’Europol per evitare che nella marea di rifugiati si celino terroristi pronti a colpire in Europa. Poi il secondo nodo: gli aiuti finanziari.
La linea di fondo è semplice: i fondi Ue per il sostegno degli afgani non dovranno finire in mano ai talebani. Saranno destinati all’Onu e alle sue agenzie: una garanzia in più per assicurare che i militanti a Kabul non impediscano il loro lavoro umanitario sul campo. Solo così, si legge nella nota, l’Ue potrà “garantire che l’aiuto umanitario raggiunga le popolazioni vulnerabili, in particolare donne e bambini, in Afghanistan e nei Paesi limitrofi”.
Sulla carta l’intesa c’è. E nero su bianco è scritto, con buona pace dei Paesi membri barricadieri, che gli afgani oggi sono “asylum seekers”, rifugiati. Ora inizia la parte più difficile.
Scaduto il termine fissato per l’evacuazione, e partito l’ultimo aereo statunitense, l’aeroporto Hamid Karzai è in mano ai talebani e, ammonisce il Pentagono, attualmente non c’è supporto per aerei in entrata e in uscita da Kabul. A questo punto la palla passa agli Stati membri, che dovranno negoziare singolarmente con i militanti afgani la possibilità di proseguire l’espatrio di connazionali e persone a rischio. C’è chi, come la Germania, ha già attivato i canali. Così hanno fatto anche gli Stati Uniti: secondo la Cnn l’esercito americano ha negoziato un accordo con i talebani per “scortare” all’aeroporto gli americani rimasti sul campo.
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