di Associazione Studi Giuridici Immigrazione
Mentre scriviamo ancora non è definitivamente conclusa la vicenda della nave Aquarius, che ci auguriamo possa trovare felice esito anche grazie all’intervento delle autorità spagnole e, comunque, oltre la gestione che ha avuto da parte del Governo italiano.
La scelta di solidarietà fatta dal Governo spagnolo di fornire assistenza materiale e giuridica ai naufraghi salvati dalla nave Aquarius, infatti, non deve oscurare la gravi responsabilità del governo italiano nella conduzione complessiva di tutte le operazioni.
Va infatti ricordato che le operazioni di soccorso sono partite su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma e che pertanto, in base al diritto internazionale – l’Italia è sempre stato il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi.
Solo in questo senso possono essere lette le principali Convenzioni internazionali pertinenti in materia e, tra esse:
– la Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione SOLAS, firmata a Londra nel 1974 e ratificata dall’Italia con L. 313/1980); – la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il soccorso in mare (Convenzione SAR, firmata ad Amburgo nel 1979 e ratificata dall’Italia con L. 147/1989, da cui il Regolamento di attuazione D.P.R. 662/1994; – la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione CNUDM o UNCLOS, adottata a Montegobay nel 1982 e ratificata dall’Italia con L. 689/1994)
Fino al momento nel quale la Spagna non ha annunciato il suo intervento per ragioni umanitarie il centro di coordinamento dei soccorso italiano, competente e responsabile degli stessi, ha continuato a non indicare alcuna destinazione alla barca Aquarius, rendendosi completamente inadempiente verso precisi obblighi indicati dal diritto internazionale ed interno e ponendo a rischio la vita di centinaia di persone.
La situazione di pericolo e di estrema difficoltà, in cui si trovavano e si trovano tutt’ora i migranti, oltre ai membri dell’equipaggio, integra senza dubbio una situazione di pericolo che non fa ritenere legittima alcuna limitazione all’approdo in un porto italiano. Nel caso di specie doveva, infatti, immediatamente trovare applicazione l’art. 18, par. 2 della Convenzione UNCLOS, la quale prevede che lo Stato costiero non può invocare una violazione del diritto di passaggio inoffensivo né obbligare la nave straniera a riprendere il largo. Conseguentemente, lo Stato costiero, nel cui mare territoriale, o nelle vicinanze del quale, si trovi una nave in una situazione di pericolo è, infatti, il titolare primario dell’obbligo di portare soccorso ed è responsabile della conclusione del salvataggio. La nave che si trova quindi in una situazione di pericolo implicante una minaccia per la vita delle persone a bordo, qualsiasi sia lo status di questi passeggeri, gode di un “diritto” di accesso al porto.
Il diniego di accesso ai porti italiani a imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare comporta la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, applicabile poiché l’Italia, nel coordinare l’azione SAR, esercita funzioni esecutive al di fuori del proprio territorio «conformemente al diritto internazionale» (v. mutatis mutandis, Al-Skeini c. Regno Unito e Jaloud c. Paesi Bassi). Le persone soccorse vertevano infatti in evidente necessità di cure mediche urgenti, nonché di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali), e tali bisogni non potevano esser soddisfatti in alto mare. Le condizioni alle quali gli stessi sono stati sottoposti determinano l’esposizione di uomini, donne e bambini ad un reale trattamento disumano e degradante ( in violazione dell’art. 3 cedu) e ad un serio rischio per la loro vita (in violazione dell’ art. 2 cedu).
Sulla nave Aquarius vi erano richiedenti asilo e rifugiati, pertanto la scelta del governo italiano di negare un porto sicuro a queste persone, anche poiché le operazioni di soccorso erano state gestite dalle autorità italiane, avrebbe potuto comportare per lo Stato Italiano la violazione del principio di non refoulment ai sensi dell’art 33 della Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati del 1951 se non si fosse trovato un porto sicuro. Il principio di non refoulment è un principio di diritto internazionale generale, vincolante per tutti gli Stati anche indipendentemente dalla ratifica della Convenzione del 1951; esso stabilisce il divieto di respingimento verso qualsiasi luogo in cui una persona potrebbe trovarsi esposta al rischio di persecuzione e/o di condizione ascrivibile a trattamento disumano e degradante, trattamento nel quale si sono trovati a vivere coloro che erano da giorni in alto mare in assenza di approdo in porto sicuro.
Sotto il profilo del diritto penale, l’obbligo di prestare soccorso configura una precisa prescrizione giuridica, la quale non può essere disattesa. Si ritiene che la condotta tenuta dall’MRCC di Roma sia stata suscettibile da integrare almeno la fattispecie dell’omissione di soccorso ai sensi dell’art. 593 c.p. A ciò si aggiunga che se dal ritardo dell’ingresso fossero derivate (o dovessero derivare) morte o lesioni in capo alle persone a bordo, ciò integrerebbe fattispecie penali autonome, quali omicidio o lesioni, che sarebbero imputabili a tutta la catena di comando italiana in ragione dell’evidente dovere giuridico di salvaguardia della vita che incombe sul paese che coordina i soccorsi
Il “braccio di ferro” diplomatico attuato da parte del Governo italiano con le Autorità di Malta e con la UE ha messo a rischio la vita di centinaia di persone ed il rispetto di basilari diritti della persona e ciò costituisce un precedente gravissimo nella storia europea.
Il governo italiano aveva tutti gli strumenti legali e politici per far valere nella fase di discussione e votazione del Regolamento Dublino IV le argomentazioni che ha portato invece sul piano mediatico e dell’uso della forza contro persone in stato di necessità dimostrando l’esplicita volontà di non proporre politiche costruttive rinunciando ad un ruolo centrale nel dibattito europeo. Il governo italiano, invece, ha voluto imporre il solo uso della forza. Sarebbe stato possibile per il Ministro degli Interni in carica recarsi a Bruxelles e discutere della necessità di ripartizione equa dei rifugiati fra gli stati europei facendo valere in modo democratico e legale presso tale sede le priorità individuate dall’esecutivo italiano, senza incorrere nelle violazioni dei diritti umani fondamentali e delle norme cogenti.
ASGI, nell’auspicare che la specifica vicenda abbia esito rapido e positivo, ha tuttavia il fondato timore che situazioni analoghe possano ripetersi già dalle prossime ore e fa appello a tutte le istituzioni e al Parlamento, nonché a tutte le forze democratiche del Paese, affinché l’Italia non si renda più responsabile degli indecorosi eventi che si sono consumati negli ultimi giorni e che il diritto internazionale e quello interno in materia di soccorsi in mare venga scrupolosamente rispettato.
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