Di Pierre Haski, France Inter su Internazionale
Lo scorso dicembre Dmitrij Muratov, direttore del quotidiano russo Novaja Gazeta, ha ricevuto a Oslo il premio Nobel per la pace 2021, condiviso con la sua collega filippina Maria Ressa. Il 28 marzo, con la morte nel cuore, Muratov ha annunciato la sospensione della pubblicazione del suo giornale fino alla fine della guerra in Ucraina. Il giornalista aveva appena ricevuto un secondo avvertimento dalle autorità e ha preferito chiudere temporaneamente piuttosto che vedersi ritirare la licenza.
È una tragedia per la Russia, che perde la sua ultima fonte di informazioni indipendente in un momento in cui queste risorse, nella nebbia della guerra, sono ancora più importanti. Questo è l’obiettivo di Vladimir Putin: fare in modo che i 140 milioni di russi abbiano accesso a un’unica fonte di informazioni, la sua.
Dall’inizio della guerra altre testate importanti hanno chiuso i battenti, a cominciare dalla radio Eco di Mosca, nata durante la glasnost, il periodo di apertura voluto da Gorbačëv, e l’emittente televisiva privata Dožd, la cui esistenza era un miracolo in un universo controllato dal potere.
Da tempo i mezzi d’informazione indipendenti incontrano grandi difficoltà in Russia. La Novaja Gazeta era il giornale di Anna Politkovskaja, la giornalista assassinata nel 2006 a Mosca dopo essersi occupata della guerra in Cecenia. Sono passati sedici anni da quel giorno. Nel frattempo altri quattro giornalisti della Novaja Gazeta sono stati uccisi.
Negli ultimi anni la morsa si è stretta sempre di più, in particolare dopo l’adozione nel 2020 di una legge che definisce “agenti stranieri” tutti i mezzi di comunicazione e tutte le ong che ricevono il minimo sostegno internazionale. Un sito indipendente come Meduza, che stava cominciando ad avere una certa importanza, ha dovuto mandare in esilio la redazione in Lettonia, mentre il sito economico VTimes è stato costretto a chiudere nel 2021. L’invasione dell’Ucraina ha dato il colpo di grazia ai mezzi d’informazione indipendenti, perché ora per Putin la posta in gioco nell’informazione è enorme.
Novaja Gazeta aveva provato a testare i limiti. Il 24 febbraio, primo giorno di guerra, il giornale aveva pubblicato un’edizione bilingue, in russo e ucraino. Nell’ultimo fine settimana il direttore aveva partecipato all’intervista in videoconferenza con il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj realizzata da alcuni giornalisti russi, quasi tutti in esilio. Mosca gli ha impedito di pubblicarla.
A dicembre, in occasione della cerimonia del Nobel, Muratov aveva lanciato un allarme premonitorio: “Gli ideologi di oggi promuovono l’idea della morte per la patria e non della vita per la patria. Non lasciamo che la loro televisione ci inganni ancora. La guerra ibrida distrugge i rapporti tra la Russia e l’Ucraina, e non so se le prossime generazioni riusciranno a ripristinarli. Inoltre, nella mente malata dei geopolitici, la guerra tra Russia e Ucraina ha smesso di sembrare impossibile”.
Questa è la voce che Putin ha messo a tacere. Nei regimi totalitari non c’è più posto per la verità.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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