Di Marco Aime su Lavialibera
L’innalzamento degli oceani di circa due metri previsto per fine secolo costringerà 700 milioni di persone all’esodo: 70 milioni potrebbero lasciare l’Africa già entro il 2030
Se ne parla poco, o meglio, se ne parla, ma non si mettono quasi mai in correlazione due dei fenomeni più rilevanti che caratterizzano la nostra epoca e che sono invece strettamente connessi tra loro: i crescenti movimenti migratori e la crisi ambientale. Già nel 2011 il Foresight study evidenziava come le migrazioni siano influenzate da una complessa serie di fattori, non solo ambientali, ma anche economici, sociali, politici, culturali e personali. Secondo questa teoria, i fattori ambientali influenzano la mobilità umana, direttamente o indirettamente, esacerbando gli altri elementi critici. In molti casi tali processi vengono innescati dal cosiddetto effetto farfalla, per cui un battito d’ali a Hong Kong scatena un uragano a New York. Un effetto domino in seguito al quale eventi apparentemente scollegati tra loro finiscono per dare vita a una catena che spesso porta a conseguenze disastrose.
L’aumento delle temperature
La temperatura media globale del pianeta è aumentata di circa 1° dalla seconda metà dell’Ottocento, ma più della metà di questo aumento è avvenuto negli ultimi trent’anni. Dal 1979 a oggi la superficie dei Poli è diminuita del 70 per cento e si sono persi tre milioni di chilometri quadrati di superficie ghiacciata. Di conseguenza, il livello del mare è salito di 25 centimetri dal 1880 a oggi. A causa dell’inquinamento, la concentrazione di CO2, che si è sempre mantenuta entro le 180-280 parti per milione (120-280 molecole di CO2 per un milione di molecole d’aria), nell’ultimo secolo è salita a 400 ppm. Una parte delle emissioni di anidride carbonica viene assorbita dagli oceani, ma le acque diventano più acide. A lungo andare, rischiano di scomparire gli animaletti marini con gusci calcarei che formano il plancton e, con essi, anche gli animali più grandi. Sempre per l’effetto farfalla, diminuisce il pescato: negli ultimi 100 anni si è perso l’80 per cento della biomassa ittica. Molte comunità che fondano la loro sussistenza sulla pesca entrano in crisi e sono costrette a emigrare.
Si stima che l’innalzamento degli oceani di circa due metri previsto per fine secolo costringerà 700 milioni di persone a lasciare le proprie terre natali. Lo scioglimento dei ghiacci artici innesca processi di profonda trasformazione dell’economia tradizionale delle popolazioni locali con conseguenze non solo in termini di esodo ma anche di perdite di identità culturali. Lo scioglimento dei ghiacciai montani porta invece alla riduzione della portata dei fiumi. Gli esperti calcolano che zone come il delta del Niger, il Bangladesh e la valle del Nilo subiranno tragiche ripercussioni sul piano agricolo. Un impoverimento del suolo diventa fattore di spinta per l’emigrazione.
La desertificazione e il ruolo dei terroristi
Le siccità prolungate che affliggono, tra le altre, molte regioni del Sahel mettono a rischio l’agricoltura di sussistenza. Ma i danni non si limitano solo a una perdita di produzione: la malaria si sta diffondendo in zone dove prima non era registrata e così anche il virus zika. I cambiamenti climatici sono causa dell’estinzione di molte specie animali, che sono talvolta fonte di cibo per le popolazioni locali. Piante e animali africani sono infatti abituati a un clima molto caldo, ma pressoché costante e quindi hanno una ridotta tolleranza termica: un piccolo aumento di temperatura può essere fatale.
È stato calcolato che l’Africa si surriscalderà un po’ meno del resto della Terra, ma nelle regioni del Sahara e del Sahel la temperatura potrebbe salire dai 5° ai 7°. Qui il 70 per cento della popolazione è rurale e i raccolti potrebbero diminuire del 30-35 per cento, con un conseguente aumento di profughi costretti a cercare sussistenza altrove. Il lago Ciad, che era il settimo lago del mondo, si è ridotto di 13 volte. Dal 1962 le acque si sono abbassate di quattro metri, riducendo la superficie del 90 per cento: da 28mila chilometri quadrati si è passati a 1.400.
Questa penuria di risorse è anche alla base dell’aumento di tensioni tra pastori e contadini, che da sempre vivono situazioni conflittuali, ma che prima erano gestite dalle regole tradizionali. Ora, invece, l’irregolarità delle piogge rende difficile pianificare lo scambio tra i due gruppi e le dispute, complice anche l’infiltrazione degli jihadisti, si trasformano spesso in scontri cruenti con centinaia di morti. In tale contesto di progressivo impoverimento si insinuano organizzazioni terroristiche come Boko Haram, che hanno buon gioco a reclutare adepti in popolazioni spesso ridotte allo stremo. Ecco una delle molte conseguenze del cambiamento climatico: l’aumento delle temperature in Africa dal 1980 ha incrementato il rischio di guerre dell’11 per cento. Negli ultimi 20 anni l’80 per cento dei Paesi africani più fragili ha visto un conflitto. Al 2017 il 93 per cento delle persone arrivate in Italia proveniva dall’Africa e in particolare dal Sahel.
Se l’Africa paga per tutti
Anche le regioni equatoriali subiscono gli effetti del cambiamento climatico e la deforestazione accentua il fenomeno. Ogni anno in Africa scompaiono quattro milioni di ettari di foreste, una media doppia rispetto al resto del mondo, con ripercussioni sulle popolazioni locali. Paradossalmente l’Africa, il continente che meno di tutti contribuisce al cambiamento climatico, è quello che paga più di tutti. Il Mediterraneo diventa così una zona di frontiera climatica tra un’Europa ricca e un’Africa povera.
Dal 2008 una media di 26,4 milioni di persone all’anno sono state spinte a migrare per calamità naturali. Gli esperti calcolano che nei prossimi trent’anni circa 135 milioni di persone saranno costrette a lasciare la propria terra a causa del degrado e delle siccità. Solo l’Africa ha un potenziale di 70 milioni di persone che potrebbero abbandonarla entro il 2030. Entro il 2050 potrebbero essere 200 milioni. Negli ultimi dieci anni i disastri naturali hanno colpito 1,7 miliardi di persone e ne hanno uccise 700mila. Il problema ecologico è aggravato dal fatto che tali disastri colpiscano persone già in difficoltà, comunità umane che devono quotidianamente combattere per la sopravvivenza. In tali condizioni non è semplice pensare a difendere l’ambiente, perché chi deve pensare all’oggi, non può pensare al domani. Ecco allora che l’effetto farfalla viene amplificato da una situazione già critica di per sé.
Il cambiamento climatico potrebbe ridurre la produzione agricola fino al 30 per cento in Africa e fino al 21 per cento in Asia, il che induce a prospettare conflitti futuri per l’accaparramento delle risorse. Alla base di tutto questo ci sono cause differenti, alcune di origine naturale, sulle quali ben poco possiamo fare, ma molte altre dovute al modello di sviluppo adottato dalla maggior parte dei Paesi del mondo, che prevede una crescita illimitata, un sempre maggiore accentramento delle ricchezze e un crescente aumento delle ingiustizie sociali ed economiche. Da questo modello originano le sempre più forti aggressioni all’ambiente. Il nostro pianeta ha risorse limitate. Non si può dire altrettanto dello sviluppo iniquo che lo distrugge, causando modificazioni ambientali, che spingono masse di persone lontane dalle loro terre.