Di Clara Geraci su Voci Globali
Sono le parole scelte dall’International Rescue Committee (IRC) per aprire l’Emergency Watchlist 2022, che all’alba del nuovo anno rappresenta molto più che una mera lista delle 20 crisi umanitarie più preoccupanti a livello globale. Si tratta piuttosto della denuncia di un disastro. È ormai “System Failure”.
Mentre complessivamente sono 80 milioni le persone in fuga da persecuzioni, violenze, e/o conseguenze delle crisi socio-ambientali, e 41 milioni sopravvivono al limite della carestia, 20 Paesi – emerge dallo studio – contano da soli quasi il 90% delle 274 milioni di vite legate a doppio filo all’assistenza umanitaria, l’80% dei rifugiati e richiedenti asilo e il 76% degli sfollati interni. Eppure, ospitano appena il 10% della popolazione mondiale.
La classifica delle prime 10 emergenze cui volgere lo sguardo per il 2022, guidata da Afghanistan, Etiopia e Yemen, racconta di conflitti quasi ininterrotti negli ultimi 10 anni a frenare la capacità di risposta alle sfide globali quali la pandemia da Covid-19 e il cambiamento climatico, riunisce sei tra i Paesi meno sicuri per donne e ragazze, e raccoglie il 72% degli affamati del mondo.
Il clima, sempre di più, si impone quale fattore chiave per l’esplodere del rischio umanitario, innescando circoli viziosi di violenza e fame ed erodendo le prospettive di ripresa. Siccità prolungate e inondazioni sempre più gravi e frequenti muovono fino in cima alle prime 10 posizioni quattro Paesi dell’Africa orientale già martoriati dalle guerre, e sei dei Paesi in Watchlist (Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Afghanistan, Sudan e Niger) figurano tra i 10 meno preparati ad affrontare lo shock climatico.
La Lista 2022 rivela che l’emergenza non è più emergenza. “Per quanti vivono nei Paesi più fragili e colpiti dai conflitti, la crisi permanente è la nuova normalità”, si legge sul rapporto firmato da David Miliband, presidente di IRC.
Per diverse generazioni, stabilità e sicurezza sono sconosciuti. Dopo quattro decenni di conflitto, la terra di Kabul è allo stremo.
“La comunità internazionale ci ha voltato le spalle. Il sistema sanitario è sull’orlo del collasso; la maggior parte degli afghani non può permettersi di sfamare se stessa o le proprie famiglie e, con milioni di persone che marciano verso la carestia, sono disperatamente preoccupata per la mia gente” – afferma Awesta, Emergency Support Officer di IRC a proposito del Paese che, già ultimo nella classifica per l’uguaglianza di genere, svetta sulla Watchlist con una previsione di povertà quasi universale per la metà del 2022.
Si parla di shock economico, dovuto al blocco dei finanziamenti esteri, e con essi degli aiuti umanitari vitali per il Paese, dalla presa di potere dei Talebani dello scorso agosto (solo il 22 dicembre 2021 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha finalmente approvato la risoluzione per “l’assistenza umanitaria e le altre attività a sostegno dei bisogni umani fondamentali”).
E anche la siccità prolungata fa temere per il moltiplicarsi dei già immensi bisogni umanitari del popolo afghano che sembra andare incontro ad un anno di crisi alimentari e sanitarie senza precedenti.
L’attesa chiusura del 90% delle strutture di cura, privando milioni di persone dell’assistenza di base, significherebbe grave rischio di epidemie, malnutrizione e decessi prevenibili, nonché compromissione di ogni risposta al dilagare del Covid-19.
Per Abdul Kadir Musse, rappresentante UNICEF per il Paese, “Non c’è tempo da perdere. Senza un intervento urgente e concertato, con la certezza di avere risorse necessarie per disporre trasferimenti di denaro e forniture invernali, molti bambini afghani non vedranno la primavera”.
La fame, che già per l’inizio del 2022 tormenterà il 55% della popolazione con 9 milioni di persone affamate oltre i livelli di emergenza, guiderà nuovi sfollamenti. Le donne e le ragazze ne soffriranno più di chiunque altro per l’esser esposte a rischi sempre maggiori di violenza di genere, matrimoni precoci, sfruttamenti e abusi tipici delle economie di sussistenza e aggravati dalle eventuali restrizioni specifiche di genere che incideranno sulle capacità di istruzione e lavoro e quindi di garanzia dell’autosufficienza.
Dal 5° posto dello scorso anno, al 2° per quello appena iniziato. L’escalation del conflitto nella regione settentrionale del Tigray e nelle vicine regioni di Amhara e Afar, unito alla grave siccità attesa in conseguenza del “La Niña”, spinge l’Etiopia sempre più in alto nella Lista delle catastrofi umanitarie imminenti.
Quasi 26 milioni di etiopi dipendono già dagli aiuti umanitari, oltre 4 milioni sono gli sfollati interni, e solo l’1,2% della popolazione ha avuto accesso al ciclo vaccinale completo contro il Covid-19. Il Paese si posiziona ultimo per le limitazioni all’accesso umanitario che impediscono alle organizzazioni di raggiungere con l’assistenza salva-vita chi abita le aree interessate dal conflitto, oltre che di valutare la reale dimensione della crisi e di programmare interventi su larga scala. 900 mila persone sarebbero già in carestia nel Tigray.
Di fatto, la popolazione del Nord è abbandonata a se stessa mentre, senza pace, i bisogni non potranno che crescere nel Paese già flagellato dalla forte esposizione al cambiamento climatico, causa di disastri naturali ed eventi di siccità e inondazione ormai ordinari.
Per la prima volta in tre anni, lo Yemen abbandona la posizione di vertice in Watchlist. La ragione, però, non sta nel miglioramento della situazione umanitaria. È piuttosto il rapido peggioramento di altre crisi a determinarne la discesa, mentre i bisogni per gli yemeniti non faranno che continuare ad aumentare anche quest’anno viste le forti restrizioni all’accesso umanitario nel Paese.
“Lo Yemen è ancora una delle più grandi crisi umanitarie al mondo. Più della metà della popolazione non ha accesso al cibo per sopravvivere e il tasso di povertà e fame aumenta ogni giorno. Il mondo non deve dimenticare che lo Yemen sta affrontando una crisi umanitaria critica a causa di sette anni di guerra. Nonostante sette anni di distruzione, i comuni yemeniti sperano ancora nella pace”, spiega Ebtihal Ghanem, Economic Recovery and Development Manager di IRC.
Sette anni di guerra senza quartiere che non accenna a fermarsi in mancanza di progressi diplomatici per un processo di pace reale, e le emergenze corrono non soltanto sulla prima linea. Gli impatti del conflitto sono ormai sistemici. Economia, sanità, istruzione. Tutti i sistemi critici sono stati progressivamente distrutti.
229 scuole e 148 ospedali, riporta l’IRC, sono stati danneggiati dal conflitto o utilizzati per scopi militari dal 2015; e, con le parti in conflitto che regolarmente utilizzano l’economia come arma di guerra, la fame non è solo un effetto collaterale delle bombe e guida sempre più spesso proteste sempre più violente.
Con i civili sotto attacco nella completa impunità dei responsabili, lo repubblica più a sud della Penisola araba, più di qualunque altro Paese, si fa simbolo del “System Failure”.
L’incontrollata pandemia da Covid-19, interrompendo le catene di approvvigionamento e riducendo ulteriormente i redditi, ha poi aggravato la situazione alimentare nel Paese delle 16 milioni di anime ad un passo dalla carestia, in cui l’80% della popolazione ha bisogno di una qualche forma di assistenza alimentare.
“Gli Stati stanno venendo meno ai loro doveri verso i loro cittadini; la diplomazia non riesce a risolvere i conflitti; il regime legale non riesce a proteggere i diritti consolidati dei civili; e le operazioni umanitarie non riescono a colmare le crescenti lacune. Il sistema per prevenire e affrontare le crisi umanitarie [..] sta fallendo. Sta fallendo per ragioni strutturali non superficiali, e questo significa che le cose andranno peggio, a meno che non si intervenga”. A commento del rapporto 2022, tuona così il presidente Miliband nel suo J’accuse all’intera comunità internazionale.
Sempre più guerre, mai così tante dal secondo conflitto mondiale; sempre più conflitti interni internazionalizzati, soprattutto. La frammentazione della politica globale ad esacerbare le crisi esistenti. E ancora, i diritti umani universali sacrificati agli interessi di sovranità nazionale. Sono i tre cambiamenti globali interconnessi incriminati di aver indebolito e infranto il sistema fino a determinare i livelli record di bisogni umanitari, fame, sfollamento e violenza.
“La Watchlist mostra che abbiamo bisogno di cambiamenti significativi al sistema umanitario”, aggiunge il CEO chiedendo s’intervenga sulla migliore spesa dei fondi, sulla responsabilità delle parti in guerra “che usano la fame come arma di guerra e la sofferenza dei civili come strumento di controllo”, e sull’emergenza politica in primo luogo.
Perché non si può negare che “ogni emergenza umanitaria è un’emergenza politica” e “le emergenze umanitarie potranno solo peggiorare se le emergenze politiche che le sottendono non vengono affrontate. [..] Questo è il vero messaggio dell’Emergency Watchlist di quest’anno, che richiede urgente attenzione internazionale per essere portato avanti”.
Doveva essere pace, prosperità e stato di diritto. Sembra un fallimento, invece. E, come sempre, a pagare il conto più salato, il conto della morte, sono i più vulnerabili.
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