A cura della redazione di Carta di Roma
Nel Tg2 delle 13 di oggi, 28 giugno, il quinto titolo era dedicato ad una notizia molto allarmante giunta dalla Germania. Questo il testo del titolo letto dalla conduttrice: “Dopo il caso di venerdì a Wurzburg, su cui si indaga per odio islamista, nuovo attacco ai passanti in Germania, due persone sono state ferite, in fuga l’aggressore”.
A distanza di pochi giorni, dunque, due “attacchi” con modalità analoghe, su uno si “indaga per odio islamista”. L’ombra del terrorismo è evidente.
Il lancio da studio del studio del servizio si concentra sull’episodio del giorno e non ripropone l’accostamento con quello precedente: “In Germania questa mattina c’è stato un nuovo attacco con un coltello a Erfurt. Ferite due persone. L’aggressore è ancora in fuga”.
La cronaca del corrispondente invece è centrata sulla sovrapposizione dei due episodi. La prima metà del servizio racconta quello più recente, quello avvenuto nella mattinata: “Tutto è successo in pochi secondi. Alle sei del mattino in una zona periferica di Erfurt, capoluogo della Turingia, nell’est della Germania. Un uomo ha ferito due passanti con un coltello. Sono in ospedale ma non in pericolo di vita”. A questo punto il corrispondente traccia il profilo dell’aggressore e qui le informazioni risultano dissonanti rispetto all’enfasi del titolo: “Testimoni lo descrivono sui 30 anni, biondo, parla tedesco senza alcun accento. La polizia lo cerca invano da stamane, anche con gli elicotteri”. Quindi l’attacco è condotto presumibilmente da un tedesco, certamente da un uomo biondo che “parla tedesco senza accento”.
Cosa ha a che fare questo episodio con il paventato allarme terrorismo dell'”odio islamista” annunciato nel titolo? Sembra non c’entri un bel niente, in effetti lo ammette anche il corrispondente della Germania che prosegue il racconto della seconda metà del servizio dedicata al primo episodio di aggressione avvenuto un paio di giorni prima in un’altra parte della Germania: “Ci sono evidenti differenze, ma la strage di oggi riporta alla strage di tre giorni fa a Wurzburg nel sud della Germania”. Ci sono evidenti differenze, dunque. La prima, il corrispondente la sottolinea subito, a Wurzburg: “Un somalo 24enne con problemi psichici nel centro della città ha preso di mira diverse donne uccidendone 3, ferendone gravemente 5 e molte altre più lievemente”. Cambia l’episodio e cambia anche il linguaggio: nel primo caso l’aggressore era “un uomo”, adesso invece diventa “un somalo”. È un esempio da manuale di etnicizzazione della notizia, quella cattiva abitudine del giornalismo che trasforma nazionalità in notizia. Non è più una persona a commettere il reato ma è un somalo, per di più con problemi psichici. La nazionalità è associata all’atto commesso, come se ne fosse un sinonimo.
Ma il racconto non finisce con la negazione della dimensione umana dell’aggressore. Poco dopo succede qualcosa di ancora più sorprendente, anche l’ipotesi che il movente sia da attribuire all'”odio islamista” sembra perdere consistenza, affidata solo a degli indizi. Ci informa il servizio che: “nel rifugio per senzatetto dove l’uomo abitava ci sono indizi di propaganda d’odio islamista, ha detto il portavoce della Cancelleria Zeiberg. Ma l’aggressore ha precedenti per patologie psichiche, tutti elementi, ha concluso sui quali bisogna indagare”.
Quindi qual è davvero la storia che il servizio ci ha raccontato? Perché nel titolo si parla di un duplice attacco e ne viene suggerita la matrice dell’odio islamista? Cos’è poi l'”odio islamista”, come si configura effettivamente?
A noi sembra un modo inaccettabile di raccontare notizie, un modo centrato sull’equivoco, la supposizione, l’indizio, che fanno carta straccia della ricerca della verità sostanziale dei fatti che dovrebbe essere il primo dei principi del buon giornalismo. Non del giornalismo buono, ma del buon giornalismo (tra gli obiettivi del contratto di servizio pubblico della Rai che integra, tra le altre, la Carta di Roma) di cui oggi, nel Tg delle 13, non si è vista traccia.
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