Di Ilvo Diamanti su la Repubblica
Solo il 7 per cento ritiene l’immigrazione un’emergenza. Prevalgono altri timori: lavoro e Covid
Per molti anni e da molti anni gli immigrati hanno costituito un riferimento del dibattito politico e mediatico. Due piani che si incrociano, inevitabilmente, perché il dibattito politico ha bisogno dei media, per orientare il “pubblico”. Cioè, gli “elettori”, che, ormai da tempo, coincidono. Largamente. Perché gli “elettori” sono il “pubblico” a cui rivolgersi per costruire il consenso. Per ottenere e aumentare l’audience. E i voti. Gli immigrati, infatti, hanno dato un volto alla nostra insicurezza e alle nostre paure. Protagonisti di uno “spettacolo permanente” che, per molto tempo, ha garantito ascolti. E consensi. Fino a ieri. Perché oggi il clima d’opinione sta cambiando, come mostrano le ricerche condotte dall’Associazione Carta di Roma, che presenterà un nuovo rapporto nei prossimi giorni.
La relazione fra insicurezza, migrazione e comunicazione ha, infatti, funzionato fino alla fine dello scorso decennio. Quando migranti e migrazioni hanno influenzato il clima politico e d’opinione. Infatti, il picco più elevato di presenza sui media e di coinvolgimento emotivo intorno all’arrivo degli immigrati, negli ultimi recenti, si osserva negli fra il 2017 e il 2018. Nella precedente stagione elettorale. Una tendenza che riemerge negli ultimi mesi. Segnati, non a caso, dal voto dello scorso 25 settembre. Ma con misure ed effetti diversi. La media giornaliera dei titoli dedicati ai migranti e alle migrazioni, infatti, si è ridotta a meno di un terzo, rispetto al 2018. E il grado di insicurezza generato da questo tema è, sua volta, sceso sensibilmente, per quanto in ripresa, rispetto agli ultimi mesi.
I temi della campagna elettorale e le ragioni del voto, in questa occasione, sono stati altri. L’affermazione di Giorgia Meloni, infatti, riflette soprattutto una domanda di cambiamento. Per “andare oltre” la stagione della responsabilità segnata dal governo guidato da Draghi. Accompagnato da un sostegno troppo ampio per riprodurre le in-soddisfazioni diffuse nella società, di fronte ai sacrifici “promessi”. Così, davanti agli altri, si è imposto l’unico partito rimasto “fuori” dalla coalizione di governo. I Fratelli d’Italia guidati da Giorgia Meloni. Sospinta non tanto da messaggi di paura, ma da immagini rassicuranti. Giorgia. “Madre, donna, cristiana”. Ha richiamato le tradizioni e le radici sociali. Mentre gli immigrati sono rimasti ai margini della “sua” e di “questa” campagna elettorale.
D’altronde, dopo molti anni di evidenza ed emergenza, sul piano mediatico e politico, ormai, gli immigrati non suscitano emozione. E neppure paura. Prevale, piuttosto, un diffuso senso di abitudine. Anche per chi li vede come “un Male”. È la “crisi dei dogmi”, come l’ha definita Luigi Manconi. Degli argomenti utilizzati per “far fronte” a un fenomeno che va “affrontato” senza ideologie. Tanto più in un Paese dove l’economia ha bisogno di manodopera, fornita, in misura crescente, dai migranti, come ha chiarito esplicitamente la Coldiretti.
In secondo luogo, gli immigrati non evocano più “l’altro che viene da lontano”. Perché i flussi più rilevanti di immigrati, nell’ultimo anno, provengono dall’Europa. Da Est. Dai Paesi coinvolti nel conflitto fra Russia e Ucraina. E, quindi, anzitutto dall’Ucraina. Verso la quale il senso di solidarietà, fra i cittadini, è molto ampio. L’immigrato, dunque, non è più “l’altro”. Con un “altro colore”. Ma (quasi) uno di noi. Costretto a emigrare per fuggire da una minaccia che anche noi sentiamo vicina. Per le conseguenze largamente evocate sul piano delle risorse “energetiche” ed “economiche”. Che condizioneranno – con effetti già evidenti – la nostra vita nei prossimi mesi.
Si intuisce, così, la ragione forse più importante della minore inquietudine provocata dagli immigrati. “L’emergere di nuove emergenze”. Di nuove paure. Anzitutto, il Covid, che dal 2020 si è insinuato e diffuso fra noi. E siamo noi stessi a diffonderlo. Il Covid è uno straniero “invisibile”, che attraversa le frontiere. Perché non ha frontiere. Inoltre, come conferma il Report curato da “Carta di Roma”, assistiamo, sui media, a una “guerra in diretta”. Che si combatte non lontano da noi e avrà conseguenze anche per noi.
Per questo, nel XIV Rapporto sulla Sicurezza (in realtà, sull’In-sicurezza), realizzato, alcuni mesi fa, in base a una ricerca condotta da Demos – Fondazione Unipolis in 5 Paesi Europei, “l’immigrazione” è indicata solo dal 7 per cento degli italiani fra le (due) emergenze prioritarie. Superata, di gran lunga, dai problemi economici, dall’inefficienza e dalla corruzione politica. Oltre che dalla pandemia.
Gli immigrati, dunque, non fanno più notizia, come un tempo. Perché giungono da Paesi relativamente vicini. In fuga da guerre che inquietano anche noi. Perché ci siamo abituati a loro. Perché siamo stati “costretti” a considerarne l’utilità. Così, chi in passato ne ha fatto una bandiera per attrarre consensi oggi deve cercare altri argomenti, se non altri nemici. Per questo, conviene considerare gli immigrati non come “altri da noi”, ma “altri fra noi”. Che dobbiamo “integrare”. Per guardare avanti. Insieme.