di Kitti Fődi su Eurozine, traduzione di Federico Ferrone per Internazionale
Secondo Jonathan Lee, del Centro europeo per i diritti dei rom (Errc), la volontà di farsi vaccinare delle popolazioni romanì è molto bassa in tutta Europa e la maggior parte dei governi non sembra preoccuparsi molto di loro. In Slovacchia sono state create unità mobili per raggiungere comunità isolate, ma altri paesi non hanno prestato molta attenzione ai rom.
Questo nonostante le linee guida della Commissione europea invitino gli stati membri a dare la priorità ai gruppi vulnerabili sul piano socioeconomico, una categoria che include le popolazioni rom di ogni paese europeo. Come dice Lee: “All’interno e all’esterno dell’Ue, è sconfortante vedere a che punto i rom siano trascurati nella campagna vaccinale, un po’ come sono stati trascurati durante tutta la pandemia. Le autorità europee hanno inoltre ignorato i rom quando sono state introdotte misure d’emergenza”.
Sono state adottate misure finanziarie per sostenere alcuni gruppi sociali e il mercato del lavoro, ma i rom europei e le persone che vivono in condizioni di profonda povertà non hanno ricevuto aiuti o sovvenzioni. Inoltre, ci sono state azioni esplicitamente discriminatorie contro i rom in Bulgaria, Slovacchia e Romania, dove sono diventati capri espiatori e stigmatizzati come un rischio per la salute pubblica.
Gli attivisti bulgari, per esempio, hanno riferito all’Associated Press un caso in cui villaggi a maggioranza rom sono stati irrorati da elicotteri e aerei con migliaia di litri di germicida usato per le piante. Radoslov Stoyanov, rappresentante del Comitato Helsinki per i diritti umani in Bulgaria, sostiene che questi episodi sono stati ovviamente motivati dal razzismo, poiché solo i villaggi con una numerosa popolazione rom sono stati “disinfettati” con simili metodi.
A maggio due esperti di diritti umani delle Nazioni Unite hanno inviato una lettera aperta al governo bulgaro chiedendogli di cessare le operazioni di polizia legate alla pandemia nei villaggi e negli insediamenti rom, e di porre fine alla pratica dei discorsi di odio contro di loro, dopo che il leader di uno dei partiti nazionalisti aveva definito le comunità rom nidi di infezione.
La Bulgaria, tuttavia, non è l’unico paese a incolpare i rom della pandemia. Anche un sindaco della Moldavia orientale ha dichiarato che le comunità rom diffondono il virus, mentre un funzionario ucraino ha ordinato alla polizia di allontanare tutti i rom dalla città. Pure l’Europa occidentale ha avuto la sua dose di razzismo: il sindaco di un paese francese ha chiesto alla popolazione di contattare il governo se avesse visto “una roulotte che vaga dalle vostre parti” (una frase che contiene un riferimento ai rom).
Nel 2020 il rapporto autunnale del Centro europeo per i diritti dei rom ha documentato venti casi, in cinque paesi, di uso sproporzionato della forza applicata contro i rom per non aver rispettato le norme sanitarie pubbliche.
Jonathan Lee ricorda che l’accessibilità è solo uno dei tanti problemi per le comunità rom. Quel che conta di più è che i rom sono sostanzialmente esclusi dai servizi sociali. Sono accolti con atteggiamenti razzisti nelle istituzioni sanitarie; molti di loro non hanno nemmeno diritto all’assistenza sanitaria; e le comunità, confinate, tendono a vivere isolate in aree remote, lontane dagli ospedali o perfino dai medici di base. In alcuni paesi, come Ucraina, Macedonia del Nord e Moldavia, molti di loro non hanno documenti come la carta d’identità, quindi il loro accesso ai servizi pubblici e all’assistenza sanitaria è limitato.
La Slovacchia è l’unico paese ad aver designato i rom come gruppo ad alta priorità nella campagna di vaccinazione, a causa dell’alta presenza di problemi sanitari preesistenti in questa popolazione, come malattie cardiovascolari, gravi disabilità, malattie respiratorie, diabete, asma, bronchite, polmonite e malattie legate all’obesità.
I rom costituiscono una delle più grandi minoranze in Slovacchia – secondo i dati del censimento ufficiale sono il 2 per cento della popolazione, ma a causa dell’alta latenza delle indagini centralizzate, tutti gli esperti ritengono che siano molti di più. Secondo le stime della Commissione europea circa mezzo milione di persone, il 9 per cento della popolazione slovacca, sarebbe rom.
Sebbene l’esitazione vaccinale fosse molto alta anche in Slovacchia – secondo un sondaggio di dicembre il 75 per cento della popolazione non era disposta a farsi inoculare il vaccino in quel momento – il governo slovacco ha compiuto sforzi supplementari per convincere specificamente i rom. Con l’aiuto di attivisti civili, sono state create delle unità mobili che hanno visitato gli insediamenti rom.
L’Ungheria se l’è cavata relativamente bene nella prima e nella seconda ondata della pandemia, ma dalla fine di gennaio le nuove infezioni e le morti per covid-19 sono aumentate così velocemente che ad aprile il tasso di mortalità dell’Ungheria era il più alto al mondo. Il governo è stato riluttante a riconoscere la rapida diffusione delle nuove varianti nei paesi vicini perfino a febbraio, e così non sono state prese misure specifiche, e non sono stati fatti abbastanza test. Il governo ha inoltre avviato una “consultazione nazionale” sulla riapertura: un altro tassello della distintiva campagna propagandistica del partito Fidesz.
Nonostante le crescenti preoccupazioni dell’opinione pubblica, le scuole non sono state chiuse, e centri commerciali e casinò sono rimasti in funzione mentre ogni giorno il covid-19 provocava centinaia di decessi. Il governo ha introdotto delle restrizioni solo a marzo, e questo ritardo di un mese e mezzo ha portato a picchi di oltre undicimila nuove infezioni e 311 decessi al giorno durante la terza ondata. Più di trentamila persone hanno perso la vita finora a causa della pandemia in Ungheria, un paese con meno di dieci milioni di abitanti.
Il governo di Fidesz non ha mai ammesso i suoi errori, e ha deciso di distogliere l’attenzione durante la terza ondata con una campagna di vaccinazione frenetica, ignorando a volte i protocolli o le procedure scientifiche. Invece di aspettare i vaccini ottenuti e approvati dall’Ue, hanno firmato contratti con la Cina per il vaccino Sinopharm e con la Russia per il vaccino Sputnik V.
Entrambi sono stati lanciati in Ungheria proprio mentre molti altri paesi trovavano inquietante il fatto che non fosse ancora stata resa disponibile la documentazione completa relativa a questi prodotti. Eppure le autorità ungheresi ne hanno approvato velocemente l’uso di emergenza, e molti anziani hanno ricevuto il vaccino cinese, nonostante questo in Cina fosse stato usato solo per persone con meno di 65 anni.
Inizialmente gli ungheresi diffidavano dei vaccini cinesi e russi, ma il governo ha fatto tutto il possibile per convincere la gente della loro sicurezza, anche a costo di danneggiare la reputazione dei vaccini occidentali. Il governo, per esempio, ha pubblicato dati confusi sull’efficacia dei vaccini, il che suggeriva che il russo e il cinese fossero più efficaci di quello della Pfizer-Biontech perché un numero minore di persone si ammalava o moriva dopo essere stata vaccinata. Questo confronto tuttavia ignorava il fatto che, in quel momento, le persone che avevano ricevuto il vaccino della Pfizer erano molte più di quelle che avevano ricevuto qualsiasi altro vaccino. E che il prodotto Pfizer era quello scelto anche per i gruppi più vulnerabili al virus: personale sanitario e dei servizi sociali, e il segmento più anziano della società.
Anche se la velocità di vaccinazione è stata effettivamente più alta in Ungheria che nella maggior parte degli altri paesi (a lungo solo Malta ha fatto meglio), l’organizzazione della vaccinazione non è stata priva d’intoppi, poiché il governo ha scaricato sui medici di base i compiti organizzativi della campagna, compresi quelli burocratici. I medici di base hanno dovuto chiamare i loro pazienti uno a uno, per fargli sapere che potevano ottenere il vaccino, spesso cercando anche di convincere il paziente ad accettare il tipo d’iniezione disponibile.
Una procedura di per sé problematica per le comunità rom, dato che non tutti al loro interno hanno telefoni cellulari su cui possono essere contattati, e tanto meno relazioni consolidate con i medici di base.
Alla fine di maggio, più di cinque milioni di persone sono state vaccinate, ma l’adesione è diminuita a giugno. Nonostante il governo abbia deciso che numerose strutture possono essere usate solo da coloro che hanno ricevuto un certificato di vaccinazione, si allontana l’obiettivo di vaccinare più di due terzi della popolazione, all’incirca sei milioni di persone.
Nel mese di gennaio, solo il 9 per cento dei rom ungheresi aveva voluto vaccinarsi contro il covid-19, secondo una ricerca dell’università di Pécs. Ernő Kadét del Roma press centre ricorda che lo scetticismo verso il virus e le posizioni anti-vaccino sono presenti anche tra i rom. Gli abitanti dei villaggi isolati e le persone poco istruite sono molto più vulnerabili alle notizie false e alle teorie del complotto. Per le persone non istruite è “difficile farsi strada nella giungla delle notizie false”, spiega Kadét.
I rom tendono anche a non fidarsi del sistema sanitario ungherese, anche perché hanno sperimentato discriminazioni al suo interno. Chi vive in villaggi isolati o unicamente rom non vede quasi mai un medico di base, un incarico che spesso rimane vacante in queste zone povere. Non è raro che un medico sia disponibile solo per poche ore alla settimana.
Un ulteriore problema è la distanza. I siti di vaccinazione sono spesso lontani cinquanta, sessanta o anche cento chilometri, e le persone che vivono in condizioni d’estrema povertà non possono permettersi biglietti dell’autobus o del treno.
Ernő Kadét ritiene possibile che molti rom siano contrari alle misure di limitazione del virus e ai vaccini perché gli effetti economici delle restrizioni li hanno colpiti maggiormente, facendogli perdere opportunità di lavoro occasionale.
Secondo Gábor Tamás Koronczi, un medico generico di Osztopán, la registrazione online nelle liste di assistenza è l’ostacolo principale: “Ci sono pochissimi computer, e anche quelli che ne hanno uno potrebbero non essere in grado di creare nuovi indirizzi di posta elettronica per tutta la loro famiglia. Per la registrazione, infatti, a ogni numero di previdenza sociale deve corrispondere un diverso indirizzo email. Anche contattare le persone al telefono è difficile, dato che anche chi ha un cellulare non può necessariamente usarlo sempre, perché spesso non ha i soldi per le carte prepagate: ma questo è soprattutto un problema di organizzazione della vaccinazione”.
Le autorità locali cercano di aiutare a effettuare la registrazione, ma Koronczi racconta che molte persone vengono nel suo ambulatorio per registrarsi, perché gli sembra la cosa più logica, e preferiscono ricevere lì il vaccino, perché sono riluttanti a raggiungere i siti di vaccinazione. Il minibus dell’autorità locale serve per accompagnare le persone anziane o disabili all’ambulatorio medico o ai siti di vaccinazione.
Koronczi fa notare che la maggior parte degli anziani della comunità rom locale di cui si occupa è già stata convinta e vaccinata, e che ci sono sempre più rom lavoratori che si registrano di settimana in settimana, grazie all’assistenza che gli viene fornita.
Da dicembre, il governo ungherese ha speso quasi ottanta milioni di euro in comunicazioni e pubblicità relative al covid-19, compresa una campagna in cui appaiono celebrità che affermano che i vaccini salvano la vita. Tuttavia, Ernő Kadét pensa che tali iniziative non possano convincere la gente più povera, che tende a credere che le persone famose partecipano alla campagna solo per soldi.
Secondo Kadét, la registrazione online rende l’accesso alla vaccinazione molto difficile per i rom. Sarebbe più utile offrire delle vaccinazioni a chi si presenta ai medici di base, senza registrazione. Le ultime regole relative alle riaperture impongono un certificato di vaccinazione per accedere ai ristoranti al chiuso e ad altri spazi pubblici, ma questo non è l’incentivo ideale per i rom: le persone che vivono in estrema povertà non hanno infatti i soldi per frequentare i luoghi pubblici di divertimento.
La campagna Oltass, hogy élhess (Vaccinarsi per vivere) è stata lanciata per alleviare questi problemi attraverso la cooperazione di numerose ong e gruppi civici (che comprendono aHang, Dikh tv, RomNet, Roma press centre, The system level – National community organizing workshop, Civil college foundation, 1 Hungary initiative, e National roma council). I loro volontari visitano gli insediamenti rom, cercando di vincere lo scetticismo e li aiutano nella registrazione. Condividono meme sui social network, coinvolgendo nella loro campagna professionisti sanitari e celebrità rom.
La prima fase della campagna si è appena conclusa, ed Ernő Kadét crede che i suoi effetti siano notevoli, ma che ci sia ancora molto da fare. Ricorda che nelle comunità in cui il contagio si è diffuso e ha causato dei morti, la maggior parte delle persone è pronta ad accettare il vaccino, mentre è molto più difficile convincere i residenti degli insediamenti in cui la gente ha sentito parlare di covid-19 solo dai mezzi d’informazione.
L’ufficio tedesco di Open society Roma initiatives sostiene che i rom registrati in Germania sono 150mila, ma che siano molti di più quelli che vivono nel paese e che risultano invisibili al sistema. Secondo Euronews, ci sono circa cinquantamila persone in Grecia che non hanno accesso all’assistenza sanitaria pubblica, e la maggior parte di loro è di origine rom.
Jonathan Lee conferma che i rom hanno buone ragioni per diffidare delle autorità, che interagiscono con loro solo in presenza di presunti reati: “In Ungheria abbiamo visto ambulanze rifiutarsi di entrare in villaggi a maggioranza rom, e l’Errc ha anche indagato su casi di ospedali in cui il personale maltrattava verbalmente le madri rom partorienti. La sterilizzazione forzata era ancora praticata in Ungheria nel 2001, e in Repubblica Ceca addirittura nel 2012. Se l’esperienza dei rom con le autorità si limita agli abusi e alle discriminazioni, perché dovrebbero fidarsi all’improvviso delle stesse autorità che li incoraggiano a farsi vaccinare?”.
L’Errc conclude che le campagne d’informazione sulla salute pubblica dovrebbero essere indirizzate a particolari gruppi, cercando per esempio di ripristinare la fiducia delle comunità rom. I governi e i politici avrebbero dovuto rendersi conto delle peculiari difficoltà di queste comunità e agire per garantire che tutti avessero uguale accesso alla vaccinazione.
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