La guerra civile è uno dei motivi principali che spingono le persone a fuggire dalle proprie terre in molte regioni dell’Africa, ed il flusso di persone in fuga è in costante aumento
Di Jules Bitwayiki Mende
Fra i principali campi per rifugiati dell’Africa, quello di Sherkole si trova nella regione sud-occidentale dell’Etiopia di Benishangul Gumuz. Ospita sudanesi del Nord e del Sud, congolesi, burundesi. Molti rifugiati arrivano a Sherkole attraverso Kurmuk, che è una regione nella parte sud-orientale del Sudan. Nel 2013, a causa dell’aumento significativo del numero di rifugiati provenienti soprattutto dal Sud Sudan e dalla regione del Nilo Blu, il campo si è ampliato e questo ha comportato il disboscamento di una grande quantità di vegetazione.
È molto difficile gestire il flusso ingente di rifugiati in arrivo. Il lavoro delle organizzazioni umanitarie internazionali e locali è fondamentale, grazie anche all’aiuto dei rifugiati precedentemente insediati.
I rifugiati partecipano a workshop e seminari, vengono loro insegnate diverse abilità, si lavora sullo sviluppo della consapevolezza su questioni sociali come l’uguaglianza di genere, la lotta alla violenza di genere e le modalità per fermare la stigmatizzazione contro le persone che vivono con HIV/AIDS, STD, tubercolosi e altro. I genitori contribuiscono alla promozione dell’alfabetizzazione e molti frequentano i programmi ALP (Accelerated Learning Programs).
Grazie alle competenze acquisite, molti rifugiati incrementano il reddito delle loro famiglie creando piccole attività come negozi, ristoranti, orti domestici e commercio al mercato giornaliero. Si tratta di un ottimo modo per superare la carenza di cibo. Senza queste piccole attività le famiglie avrebbero difficoltà a sostenersi con le razioni mensili.
Diverse ONG assistono le persone che vivono con disabilità, forniscono sedie a rotelle, stampelle, occhiali da vista, assistenza e molti altri servizi.
L’ambulatorio del campo di Sherkole elabora programmi di alimentazione per i bambini bisognosi. Sono seguiti da assistenti sociali che sono rifugiati formati ed in grado di comunicare nella lingua madre degli assistiti. E’ questo un modo per raggiungere tutte le comunità e per renderle più inclusive.
Il centro sanitario del campo ha però scarse possibilità di curare pazienti molto malati. Non dispone di sala operatoria né di un adeguato equipaggiamento medico. I casi gravi vengono portati all’ospedale principale della città di Assosa e, nel caso in cui non si riesca a curare la malattia, ad Addis Abeba. Ma i mezzi di trasporto dei pazienti sono pochi e non tutti ricevono le cure in tempo.
Nel campo di Sherkole c’è un programma di scuola primaria e la scuola superiore è a pochi chilometri dal campo. Gli studenti che completano la scuola superiore possono richiedere una borsa di studio DAFI/UNHCR/ARRA per proseguire la loro istruzione e laurearsi in un’università del paese. Dal 2019 poi, i Corridoi Universitari (UNICORE) hanno aperto un’opportunità per i rifugiati che possono continuare i loro studi post-laurea in diverse università italiane.
Mi chiamo Jules, e a Sherkole ho trovato rifugio dalla violenza. Sono nato a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo. Ho perso i miei genitori in uno scontro tribale quando ero molto piccolo. Sono stato cresciuto dai miei zii, che hanno fatto tutto il possibile per darmi l’istruzione e la vita che meritavo. La mia regione, il Nord-Kivu è sempre stata una zona di guerra. Si trova al confine con il Rwanda e l’Uganda e, a causa degli scontri fra gruppi ribelli, molte persone sono costrette a fuggire in aree più sicure o nei paesi limitrofi.
Da quando ero piccolo, siamo sempre stati perseguitati. Ci è sempre stato detto che non appartenevamo a quei luoghi, e anche se abbiamo cercato di non parlare mai la nostra lingua madre per poterci inserire, i nostri nomi di famiglia erano motivo costante di preoccupazione.
Abbiamo lasciato il Congo nel 2012 perché non potevamo continuare a vivere in un posto dove rischiavamo la morte. Quell’anno la città di Goma era stata conquistata dall’M23, un gruppo ribelle. Le condizioni di sicurezza andavano deteriorandosi giorno dopo giorno a causa della lotta tra i ribelli e l’esercito nazionale che cercava senza successo di riprendere la città.
Quando cresci in mezzo alla violenza, arriva il momento in cui non ne puoi più. È stato allora che abbiamo deciso di allontanarci il più possibile.
A dicembre 2012 ci siamo quindi trovati nel campo profughi di Sherkole, in Etiopia. Era un’esperienza completamente nuova, il campo era poco illuminato e tutti i rifugiati ricevevano una razione che non durava oltre la metà del mese. Per la prima volta ci trovammo ad apprezzare la luce della luna in una zona semi-arida dove le notti sono fatte di serenate di asini e stomaci vuoti. Ma sono notti tranquille, molto tranquille.
Ho lavorato come traduttore e interprete nell’ambulatorio, il che ci permetteva di avere un po’ di soldi extra per coprire il resto del mese.
Nel 2014, ho visto il bando per una borsa di studio e mi sono detto che poteva essere una grande opportunità. Ero anche molto colpito da come i proprietari di giardini domestici fossero un po’ più stabili economicamente rispetto al resto dei rifugiati. Così, mi sono messo a leggere articoli su agricoltura e allevamento come strumento per combattere la desertificazione, specialmente quelli sui rifugiati di Kakuma, campo profughi situato nella contea di Turkana, una regione semi-arida del Kenya, e di altri campi profughi.
Dopo aver superato esami e processi di selezione, ho vinto la borsa di studio all’Università di Gambella. Lì sono stato ispirato dalle conoscenze agricole locali e dalle pratiche agricole in generale. Ma la stagione secca aveva un forte impatto sull’agricoltura. Avevo letto che a Kakuma avevano lo stesso problema. Ma la comunità era più resistente e conosceva pratiche di adattamento e mitigazione per combattere la desertificazione. Pensai che se si fossero potute applicare alcune di queste tecniche, gli agricoltori avrebbero portuto coltivare e sostenere la loro famiglia tutto l’anno.
Nel 2017 mi sono laureato. Durante questo periodo mia zia stava facendo delle cure mediche ad Addis Abeba e io l’ho raggiunta per sostenerla.
Tre anni dopo, un amico mi racconta di UNICORE, un progetto di cui era venuto a conoscenza all’ufficio dell’UNHCR di Addis Abeba e che offriva agli studenti laureati l’opportunità di frequentare un programma di master. Dopo aver letto tutti i requisiti, ho fatto domanda all’Università di Firenze, che offriva un programma di master in agricoltura e gestione delle risorse naturali per lo sviluppo rurale tropicale.
Le possibilità di vincere una borsa di studio all’estero sono davvero scarse, ho fatto del mio meglio e ho pregato. Ricordo bene, era il pomeriggio del 30 giugno quando ricevetti una mail che mi informava che avevo vinto la borsa di studio. Ero sopraffatto dalla gioia perché ci voleva davvero un miracolo per far sì che io potessi continuare la mia istruzione e perseguire i miei sogni.
Lo stesso giorno ho cercato informazioni su Firenze e ho letto di una città piena di turisti e persone provenienti da diversi luoghi del mondo. Sapevo che mi sarei fatto molti amici. E così è stato. I miei tutor sono persone meravigliose, sono come una famiglia per me. Sarò sempre grato per questa opportunità che mi è stata offerta, perché ho imparato molto e spero di poter essere di ispirazione gli altri.
La foto in evidenza è di © UNHCR/Michele Borzoni
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