Di Luca Rondi su Altreconomia
L’Unione europea ha attivato strumenti di protezione per le persone ucraine che scappano dal conflitto ma ha escluso decine di migliaia di cittadini di Paesi terzi già residenti sul territorio. Al confine italo-francese la polizia discrimina in base alla nazionalità di chi è in transito
È la sera di martedì primo marzo quando il Flixbus su cui sta viaggiando Amol (nome di fantasia), cittadino di origine indiana, viene fermato all’imbocco del traforo del Frejus, verso la Francia, per i controlli di frontiera. La polizia d’Oltralpe controlla i documenti, Amol mostra il suo permesso di soggiorno ottenuto in Ucraina, racconta di essere scappato dalla guerra il 27 febbraio ed esibisce il suo passaporto con un timbro dell’Ungheria. Spiega che vuole raggiungere un parente in Portogallo. “Non puoi passare”, gli rispondono gli agenti francesi. Amol viene respinto dalla Francia verso l’Italia e accompagnato a Oulx, cittadina dell’Alta Val Susa, dalla polizia italiana. La storia dell’uomo indiano non è un caso isolato: decine di migliaia di persone rischiano di trovarsi “intrappolate” in un limbo giuridico. Sono i cittadini stranieri, originari di Paesi terzi, che in seguito all’invasione russa dell’Ucraina dello scorso 24 febbraio sono scappati dal Paese e oggi rischiano di essere esclusi dalla “protezione temporanea” attivata dalle istituzioni europee per garantire accoglienza ai rifugiati ucraini.
In fase di votazione dell’applicazione della Direttiva 55 del 2001, che prevede appunto la possibilità per chi lascia il territorio ucraino di accedere a un permesso di soggiorno (e a forme di accoglienza) con un canale più veloce rispetto alla richiesta di protezione internazionale, il gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) ha contestato in sede di Consiglio europeo l’estensione della protezione temporanea ai cittadini non ucraini. Come ha spiegato Gianfranco Schiavone su Altreconomia, proprio su questo punto i Paesi del “gruppo” hanno minacciato di far “saltare il banco” e l’attivazione della Direttiva in toto. Il risultato è stato un testo “timido” in termini di garanzie per i cittadini di Paesi extra-Ue. La decisione infatti prevede, al considerando 12, la possibilità di garantire protezione a coloro che “soggiornavano legalmente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 sulla base di un permesso di soggiorno permanente valido rilasciato conformemente al diritto ucraino e che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio Paese o regione di origine”. Il termine “permanente” lascia ampio spazio interpretativo ai singoli Stati membri così come il passaggio, al 13esimo punto, che invita i governi dell’Ue a garantire protezione, in caso di impossibilità di rientro nel Paese d’origine, anche a chi si trovava in Ucraina “per un breve periodo per motivi di studio o lavoro al momento degli eventi che hanno determinato l’afflusso massiccio di persone sfollate”. In entrambi i casi, comunque, resta necessario dimostrare per lo “straniero” il pericolo in caso di rientro nel suo Paese.
In Italia, dodici giorni dopo la pubblicazione della Decisione sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue manca ancora il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri (Dpcm) che dovrebbe delineare le regole di applicazione della protezione temporanea. Il 10 marzo 2022, però, una circolare della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, in seno al ministero dell’Interno, specifica che “in attesa del Dpcm” la possibilità di richiedere il permesso di soggiorno per protezione temporanea è riservata solamente ai “cittadini ucraini e loro famigliari”, “apolidi” e a “cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina che beneficiavano di protezione internazionale o protezione nazionale equivalente prima del 24 febbraio 2022”.
In altri termini: solo se un organo ucraino ha già dichiarato che la persona sarebbe in pericolo in caso di rientro nel Paese d’origine allora è possibile accedere alla protezione temporanea. In tutti gli altri casi, teoricamente, l’unica via possibile è la richiesta d’asilo anche per accedere a forme di accoglienza. Questo porterebbe, tra l’altro, a una “concentrazione” delle persone in fuga nei Paesi confinanti con l’Ucraina perché per il regolamento di Dublino la domanda d’asilo deve essere esaminata nel Paese dell’Unione europea di primo ingresso.
Il differente trattamento tra profughi che scappano da “diverse” guerre è lampante sui confini esterni europei. Il New York Times racconta in un dettagliato reportage i diversi destini di Albagir, giovane del Sudan di 22 anni, e Katya Maslova, 21 anni, originaria di Odessa in Ucraina. Entrambi vogliono attraversare la Polonia per raggiungere l’Ue: il primo, al confine con la Bielorussia, viene preso a pugni in faccia, insultato e lasciato nelle mani di una guardia di frontiera polacca che lo picchia brutalmente. Katya, invece, si sveglia ogni giorno “con un frigorifero rifornito e del pane fresco in tavola, grazie a un uomo che lei chiama santo”. Questa disparità sta però emergendo anche lungo i confini interni dell’Unione, per persone che scappano dallo stesso conflitto, come conseguenza della “stretta” sull’attivazione della protezione temporanea per i cittadini di Paesi terzi che lasciano l’Ucraina.
Lo sguardo sulle frontiere interne è quello degli operatori legali di Diaconia Valdese, attivi sul confine orientale di ingresso di Trieste e in uscita, lungo quello italo-francese, a Ventimiglia e Oulx. “Non rileviamo grossi problemi in ingresso in Italia. Più complessa invece è la situazione al confine francese -spiega Simone Alterisio, responsabile del Progetto Open Europe per Diaconia Valdese-. Chi ha permessi di soggiorno temporanei per lavoro e studio viene respinto e trattato allo stesso modo di coloro che vogliono attraversare la frontiera e non scappano dal conflitto in Ucraina”. I casi di persone a cui viene negata la possibilità di far ingresso in Francia restano, per ora, contenuti. “Probabilmente la maggior parte delle persone non vengono intercettate -spiega Costanza Mendola, operatrice legale di Diaconia Valdese a Ventimiglia- perché arrivano in macchina e vengono respinte senza ‘passare’ dal nostro Sportello. Anche perché spesso non hanno bisogno di assistenza e cercano in autonomia altre soluzioni”.
Sul confine marittimo sono sei i casi registrati, tutti di persone di origine nigeriana e provenienti da Kiev, di cui quattro uomini soli e una famiglia. Avevano tutti un permesso temporaneo per studio e alcuni di loro nel giro di pochi giorni hanno preso un volo per tornare in Nigeria con non pochi problemi perché, non essendo vaccinati, non riuscivano a raggiungere Milano Malpensa. “Avevano tutti il timbro della polizia ungherese sul passaporto quindi teoricamente per 90 giorni avrebbero potuto circolare nello spazio Schengen -spiega Mendola-. La stessa polizia di frontiera italiana ha provato a chiedere chiarimenti ai francesi, senza successo. ‘Le regole dall’alto sono queste’ hanno risposto”.
Chi viene respinto resta in un limbo. A Oulx un cittadino nepalese è rimasto bloccato per diversi giorni al rifugio Massi, struttura in cui le persone in transito trovano sostegno. “Era confuso sulla propria situazione -spiega Martina Cociglio, operatrice legale di Diaconia Valdese-. Aveva viaggiato liberamente in autobus fino in Italia, dopo essere uscito dall’Ucraina dove da qualche mese studiava la lingua locale per prepararsi al primo anno di università. Aveva un permesso di soggiorno temporaneo e voleva raggiungere il Portogallo. Mi ha raccontato che ha provato a spiegare la sua fuga dal conflitto alla polizia e la condizione di regolarità nel Paese ma la polizia gli ha notificato un refus d’entrée”. Un rifiuto d’ingresso giustificato dall’assenza di un documento di soggiorno valido per attraversare il confine. Come lui, altre due persone di origine nepalese, un indiano, due algerini e un nigeriano sono stati respinti tra il 3 e il 17 marzo.
“Nel decreto di attuazione francese della Decisione sulla protezione temporanea viene ripreso interamente quanto scritto nella decisione del Consiglio -spiega l’avvocata Anna Brambilla, membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)-. Chi ha un titolo di soggiorno permanente e non aveva una protezione riconosciuta dovrà dimostrare i motivi per cui non può rientrare nel Paese d’origine. Nel testo la locuzione ‘et’ viene messa in grassetto per sottolineare come non basti un documento ma la ‘prova’ del pericolo in caso di rimpatrio. La diversa trasposizione del testo tra i diversi Paesi creerà dei problemi”. Se la Spagna, ad esempio, garantirà protezione a tutti i soggetti, compresi i cittadini di Paesi extra-Ue, allora il passaggio alla frontiera interna per raggiungere il territorio spagnolo dovrà essere garantito. “Le difficoltà riguardano soprattutto gli studenti, chi era ‘irregolare’ in Ucraina e i richiedenti asilo. Soprattutto con riferimento a chi aveva un permesso per studio resta la difficoltà di iscrivere le persone in istituti italiani perché, banalmente, resta necessario convertire gli esami e far sì che sia tutto in regola”.
Se per gli studenti internazionali è complesso avere delle stime, così non è per gli “irregolari”. Nell’aprile 2021 l’Organizzazione mondiale per le migrazioni dichiarava una presenza alla fine del 2019 di un numero compreso “tra le 37.700 e 60.900 persone senza un regolare documento di soggiorno”. Una stima basata su tre diversi metodi di studio, di cui due su tre propendono per un numero superiore alle 60mila presenze. “La maggior parte di questi entra in Ucraina -si legge nel documento- con un valido permesso per studio o turismo ma successivamente perde il documento”. A questi si aggiungono circa 2.800 richiedenti asilo presenti nel Paese secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Tra l’altro, l’Unhcr sottolinea nel documento come il tasso di riconoscimento sia pari a circa il 21% ma “ancora più basso” per coloro che provengono da “Paesi produttori di rifugiati” come Siria e Afghanistan. L’Oim stimava che al 9 marzo, a fronte di 2,2 milioni di profughi che avevano lasciato il Paese circa 109mila erano cittadini di Paesi terzi.
In questo quadro, Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee ha annunciato il 2 marzo l’invio di 150 agenti e 45 auto di pattuglia in Romania, al confine con la Moldavia e l’Ucraina, come misura per “sostenere” gli Stati membri nella gestione del flusso di rifugiati in fuga dal conflitto. Ma non solo. Lo scorso 10 e 11 marzo i primi voli hanno lasciato la Polonia con a bordo 394 persone, soprattutto famiglie, verso il Tagikistan e il Kirghizistan. “Frontex – si legge nel comunicato stampa- sta anche esaminando i modi in cui l’agenzia può sostenere i cittadini non ucraini che sono fuggiti dal Paese e che desiderano tornare nei loro Paesi d’origine con voli di rientro”. Sperando che il “desiderio” non sia drammaticamente l’unica opzione possibile per le persone.