Di Maurizio Ambrosini su Avvenire
Mentre i rifugiati in fuga dall’Ucraina sono stimati ormai in circa cinque milioni, di cui circa 100mila in Italia, la brutta storia dell’accoglienza differenziata aggiunge nuovi anelli a una catena sempre più stretta. Dopo il Regno Unito, anche la Danimarca ha annunciato di voler sottoscrivere un accordo con il Ruanda per decentrare laggiù i propri obblighi di protezione dei rifugiati, deportandoli a migliaia di chilometri dal suo territorio. Ma non si tratta di una novità, bensì dell’inasprimento di un progressivo distacco del nobile Paese scandinavo dalla propria tradizione di impegno umanitario. Suona invece come un campanello d’allarme, per la sua rilevanza istituzionale e il suo significato politico, la notizia dell’accordo che l’Unione Europea sta negoziando con il Senegal per dispiegare nel Paese dell’Africa Occidentale l’apparato di Frontex, la discussa Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Lo ha riferito ‘Nigrizia’, la rivista dei missionari comboniani nel suo numero di questo aprile 2022.
Se l’accordo andrà in porto, sarà la prima volta di una missione di Frontex fuori dall’Europa, lontano dai confini della Ue e sul territorio di uno Stato sovrano africano, con truppe armate che vestono uniformi della Ue, dispiegano mezzi militari e dispongono di (costose) attrezzature di sorveglianza con i colori dell’Unione. Gli scopi sono quelli delle altre ormai numerose iniziative di «esternalizzazione delle frontiere» della Ue verso i Paesi di transito e talvolta di origine dei migranti e dei richiedenti asilo. Con una retorica sempre più stantia e sempre meno convincente, Bruxelles si trincera dietro gli obiettivi di lottare contro il traffico di esseri umani e di salvare le vite di chi dal Senegal sale a bordo di fragili imbarcazioni in direzione delle Isole Canarie, 1.500 km più a Nord: 19mila persone nel 2021. Le forze aeronavali di Frontex verrebbero pertanto inviate a presidiare la costa senegalese e il confine con la Mauritania. Come se i rischiosi viaggi della speranza non fossero l’effetto della mancanza di mezzi legali per raggiungere l’Europa, e tra i viaggiatori non si contassero persone che una volta giunte nel nostro continente avrebbero titolo per ottenere l’asilo. Frontex è diventata in pochi anni la più ricca e potente agenzia della Ue, con un bilancio rapidamente cresciuto, fino a raggiungere i 757 milioni di euro nel 2022. Forte già oggi di 2mila effettivi, dovrebbe arrivare a quota 10mila entro il 2027. Questo nonostante l’agenzia sia oggetto dal 2019 di accuse per violazione dei diritti fondamentali dei migranti, nel 2020 sia stata posta sotto inchiesta dall’Olaf, l’Ufficio europeo per la lotta anti-frode, nel 2021 sia stata stigmatizzata da un rapporto molto critico della Corte dei Conti europea.
L’obiettivo politico di sigillare le frontiere nei confronti dell’immigrazione indesiderata, compresa quella umanitaria, a Bruxelles pesa più delle crescenti riserve sui metodi adottati da Frontex e sulle modalità d’impiego dei suoi ingenti fondi. L’annuncio della proposta di accordo Ue-Senegal da parte dell’eurocommissaria Johansson ha già suscitato le proteste delle organizzazioni della società civile africana ed europea.
In un documento presentato a febbraio a Bruxelles hanno richiamato il fatto che l’accordo mette in discussione la sovranità nazionale del Senegal, compromette la libertà di mobilità dei cittadini africani, solleva il problema dello squilibrio di potere tra un Paese in via di sviluppo e una potente istituzione interstatale del Nord del mondo come la Ue. Nel tempo delle porte aperte ai rifugiati ucraini, la disuguaglianza nel trattamento che ricevono i rifugiati di altre guerre, altre crisi umanitarie e altre persecuzioni, appare stridente come forse mai in passato. L’impeto di generosità a cui assistiamo è prezioso, ma deve fare breccia anche in altre direzioni, e non fermarsi ai confini d’Europa.
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