Fountain pen, details
Di Silvia Garambois e Paola Rizzi (GIULIA Giornaliste) su Rete Nazionale per il contrasto ai discorsi e fenomeni d’odio
Le donne saldamente in testa tra le più odiate. Le giornaliste sempre con numeri da record. Quest’anno però, come giornaliste di GiULiA, abbiamo voluto capire un po’ più a fondo le radici di tanta intolleranza aggressiva e violenta, quindi oltre a mantenere l’attenzione sull’hate speech contro le donne che fanno informazione, nella seconda rilevazione a campione sui profili condotta dai ricercatori universitari, insieme alle colleghe e ai colleghi di VoxDiritti abbiamo allargato il campo di indagine per vedere quanto più in generale siano sotto attacco le donne che fanno professioni percepite in una parte della società ancora come “maschili”: politiche, imprenditrici, scienziate, giuriste, sportive, cantanti.
Che la statistica fosse “vinta” dalle donne impegnate in politica era, forse, scontato: ce lo hanno detto le tante ricerche fatte in questi anni (una per tutte il “Barometro dell’odio” di Amnesty). Lo conferma l’indagine di VoxDiritti.Non così scontato che il secondo posto fosse occupato da chi fa informazione, dalle giornaliste. Dopotutto è stato l’anno delle scienziate che si sono occupate di Covid (e ben sappiamo quali violente reazioni hanno suscitato), l’anno in cui giuriste e imprenditrici si sono ben fatte sentire.
Niente da fare: è l’informazione a restare violentemente sotto attacco. Tanto che, a leggere bene i dati oltre alle percentuali, le più “odiate” nei diversi settori indagati sono donne come la giurista Vitalba Azzolini, autrice di numerosi articoli e editoriali, o tra le donne di spettacolo Barbara D’Urso, volentieri scambiata per giornalista.
È dunque utile continuare a tenere alta l’attenzione sulla voglia di censura e di bavagli contro le donne che fanno informazione, secondo modalità già rilevate nella mappa del 2020 che confermano uno schema preciso: oltre agli insulti sessisti, prevale l’invito a starsene a casa, a tornare a fare la calza, insomma a togliersi dallo spazio pubblico, indebitamente occupato. Un meccanismo che colpisce tutte le donne che si permettono di stare in ruoli non “tradizionali”, che pretendono una visibilità per le loro professioni, con uno sconcertante riemergere di cliché patriarcali che la rete e i social network sembrano addirittura amplificare.
Da questo punto di vista l’analisi dei tweet da marzo a metà ottobre 2021 ci consegna una fotografia dell’odio contro le giornaliste che non si discosta da quello dell’anno precedente. Abbiamo scelto di monitorare soprattutto le colleghe più esposte, e la “classifica”, guidata da Myrta Merlino, mostra come l’esposizione televisiva trascini in modo particolare l’aggressione social contro le giornaliste, quasi mai contestate per quel che dicono, ma insultate e denigrate per quel che sono: donne. Tuttavia, ancora una volta, anche le giornaliste della carta stampata che seguono i temi socialmente più sensibili (migranti, Africa, mafie) non sfuggono all’odio generato dai tweet.
La vera novità, rispetto all’anno passato, è l’attenzione che a questo bavaglio all’informazione – che si manifesta anche come vera e propria censura psicologica – hanno finalmente riservato nell’arco del 2021 Parlamento e ministeri, attraverso il lavoro delle varie commissioni (Antimafia, Segre) e degli osservatori istituiti presso il Ministero degli Interni. Non basta più soltanto monitorare questi fenomeni, non basta l’impegno dei singoli e delle associazioni, serve un intervento deciso – prima di ogni altra cosa a livello culturale e poi legislativo – per far uscire il nostro Paese da questo pozzo oscuro di sottocultura misogina e sessista, che inquina le radici della democrazia.
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