Cosa c’è sei anni dopo il naufragio avvenuto il 3 ottobre a Lampedusa e cosa si vorrebbe costruire, per non dimenticare e continuare a raccontare
Le parole pronunciate dallo scrittore Alessandro Leogrande, in occasione di un incontro, nel 2016, al Festival del Giornalismo di Perugia sul racconto delle tragedie delle migrazioni, restano di grande attualità: “raccontare le realtà dei contesti di provenienza dei flussi migratori che toccano da vicino le società occidentali è l’unico modo per conoscere il fenomeno”. Egli rilevava che in altre fasi storiche le crudeltà compiute da regimi autoritari erano conosciute grazie alla diffusione e alla circolazione di informazioni: “nell’epoca di Pinochet, non si poteva dire a nessuno che scappava dal regime di tornare indietro, e nessuno parlava di respingimenti”.
Per la stessa ragione occorre tenere vivo il ricordo del naufragio di Lampedusa avvenuto il 3 ottobre 2013, per ricordare quanti fuggono da condizioni vita inaccettabili e per raccontare quelle stesse condizioni che li portano ad affrontare il viaggio migratorio. Oggi, 3 ottobre 2019, sulla prima pagina, solo uno dei principali quotidiani nazionali – Avvenire – ricorda la tragedia avvenuta di fronte all’isola di Lampedusa, dove è naufragato un barcone con a bordo oltre 500 persone, quasi tutti provenienti dall’Eritrea. Le vittime, inizialmente, accertate sono state 366. Pochi ricordano che nel corso del naufragio una donna incinta ha partorito a bordo del barcone e che, circa dieci giorni dopo, quando le salme erano già partite per la Sicilia, un altro corpo è affiorato tra gli scogli della spiaggia dei Conigli.
368 vittime certe, dunque, per il primo e unico naufragio della storia delle stragi nel Mediterraneo che ha mostrato tutti i corpi dei naufraghi. L’immagine di quelle bare nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa ha suscitato una reazione emotiva molto forte. Ha di fatto, dato vita all’operazione italiana di ricerca e soccorso in mare Mare Nostrum.
Il progetto di un memoriale per le vittime del naufragio di Lampedusa risale ai giorni immediatamente successivi alla tragedia. Una richiesta dei superstiti e delle vittime di quel naufragio di cui si è fatto portavoce padre Mussie Zerai, coordinatore delle comunità cattoliche eritree in Europa. Trova radici anche nell’esperienza della mostra per la costituzione di un Museo del dialogo per il Mediterraneo che ha raccolto opere dagli Uffizi e dal Bardo di Tunisi insieme agli oggetti appartenuti alle vittime del naufragio di Lampedusa.
È giunto il momento per pensare a un luogo della memoria che “ha come scopo fornire al visitatore, al passante, il quadro autentico e concreto di un fatto storico. Rende visibile ciò che non lo è: la storia […] e unisce in un unico campo due discipline: la storia appunto e la geografia” (Pierre Nora, Le lieux de Mèmoire”.
Servizio di Valerio Cataldi per il Tg3