Di Paolo Manzo su Vita
L’anno scorso per i migranti in Messico è iniziato e finito con decine di bare e tante lacrime. Il 21 gennaio sono stati infatti scoperti i corpi di 16 migranti massacrati a Camargo da un gruppo d’élite della polizia di Tamaulipas. Il 9 dicembre, un rimorchio sovraffollato carico di migranti, tutti di nazionalità guatemalteca, si è schiantato in Chiapas, uccidendone 56 e ferendone un centinaio. Il 2021 è stato un anno terribile per i migranti nel paese del tequila, e non solo per i morti. La pressione degli Stati Uniti per far ripartire il programma “Rimani in Messico” è stata, infatti, fortissima ed il risultato è stato l’arresto di 252.526 migranti, il numero più alto della storia. La maggior parte dei detenuti, 108.448 per l’esattezza, pari al 40% del totale, erano di nazionalità honduregna, il paese più povero del Centroamerica. Poi gli haitiani, 18.235, ai quali bisogna aggiungere però 2.035 brasiliani e 2.246 cileni, tutti figli di haitiani già emigrati nei due paesi, per cui il numero totale proveniente direttamente o indirettamente dalla disastrata nazione caraibica rappresenta quasi il 10% del totale.
Purtroppo manca un progetto globale per aiutare chi cerca una via di transito per raggiungere il “sogno americano” ma anche chi, invece, vede il Messico come una meta finale. Per questo, se nulla cambierà, il 2022 si preannuncia anche peggiore dell’anno scorso.
Di sicuro le cifre storiche di arresti indicano una repressione senza precedenti contro i migranti, dovuta alla grande mobilitazione dell’esercito, della marina e della guardia nazionale (composta per lo più da militari) da parte del presidente Andrés Manuel López Obrador, AMLO come tutti lo chiamano.
“Tutti i corpi armati sono stati coinvolti nella detenzione dei migranti, e questo non solo è illegale, ma è anche spaventoso”, si sfoga Il direttore dell’”Istituto per le donne in migrazione”, Gretel Kuhner. Purtroppo, nelle ultime 6 settimane, a causa della forte pressione del governo americano, alcune zone del Messico settentrionale si sono trasformate in vere e proprie “sale d’attesa”, con condizioni di vita subumane per i migranti che, essendo già entrati negli Stati Uniti da là sono stati ricacciati a sud, per attendere la risoluzione delle loro richieste d’asilo negli USA, secondo i dettami del programma “Rimani in Messico”.
Il problema è che, come ha saggiamente scritto il professore di antropologia Jorge Durand sul quotidiano messicano La Jornada del 2 gennaio scorso “siamo ancora abituati a considerare la migrazione nel XXI secolo come se fosse la stessa del XX secolo”, eppure “i modelli di migrazione sono cambiati. La tradizionale ‘politica del non fare’, del non fare nulla, non può più essere applicata”. In effetti, sinora, AMLO, o non ha fatto nulla, oppure ha usato i militari per reprimere. Non solo arrestandone oltre un quarto di milione in 12 mesi, ma anche disperdendo con violenza feroce le carovane organizzate dagli stessi migranti.
Tra agosto e settembre la repressione più dura, con migliaia di persone che, entrate dal Guatemala, non sono nemmeno riuscite ad uscire dai confini del Chiapas: tutte violentemente disperse a suon di manganellate e gas lacrimogeni dagli agenti dell’INM, l’Istituto messicano delle migrazioni, appoggiati dalla Guardia Nazionale.
I video degli arresti di donne, bambini ed anziani hanno provocato la condanna unanime delle ong e delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Inoltre, bloccare le carovane non ha fatto che riconsegnare un maggior numero di migranti alle bande criminali che gestiscono illegalmente la tratta.
Durissima la Conferenza episcopale messicana-CEM, delusa dal fatto che il governo abbia accettato di riprendere il programma “Rimani in Messico” e che la sua politica migratoria abbia generato una situazione caotica nel sud del paese, in particolare a Tapachula, in Chiapas.
“Il programma con gli USA”, ha scritto la CEM in dicembre, “vìola molteplici principi internazionali riguardanti il rifugio e l’asilo, come il diritto al giusto processo e al non respingimento, e non permette il dovuto esercizio dei diritti fondamentali delle persone che chiedono il riconoscimento dello status di rifugiato. Con profonda sincerità speriamo che le persone nel contesto della migrazione che si trovano in territorio messicano possano vedere una luce di speranza in questa valle di indifferenza, dolore e discriminazione da parte delle autorità dei tre livelli di governo”, hanno concluso i vescovi messicani, accusando le autorità di non aver rispettato gli impegni per trasferire e regolarizzare i migranti.
“La situazione è caotica, di sofferenza, disperazione e violenza ma in mezzo a questa complessa realtà, la Chiesa cattolica, attraverso la diocesi di Tapachula, è rimasta ferma nel prestare attenzione umanitaria ai migranti, preoccupata dalla politica confusa e inefficace del governo federale, dall’indifferenza dello Stato e dal ruolo di spettatori delle amministrazioni comunali”.
Tapachula è una delle tante Lampedusa latinoamericane e qui la situazione è davvero drammatica ed a rischio di esplosione sociale. Situata vicino al confine con il Guatemala, con appena 190mila abitanti ospita ben 40mila disperati, quasi tutti haitiani (la stima è di Medici Senza Frontiere bloccati come fossero in un carcere (video) dove non hanno alcuna possibilità di alloggio o di lavoro, mentre i loro compatrioti continuano ad arrivare quotidianamente in fuga dal loro paese, precipitato nel caos dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse, il 7 luglio scorso.
Immagine in evidenza di Max Böhme/Unsplash
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