L’Ue punta tutto sui guardacoste libici, mentre le navi delle ong sono quasi tutte ferme per controlli e quarantene.
Di Giulia Belardelli su HuffPost
Aumenta la conta dei morti nel Mediterraneo centrale, ma la rotta migratoria più letale del mondo resta un deserto senza soccorsi. Le navi delle ong sono quasi tutte ferme per procedimenti amministrativi e obblighi di quarantena. L’Unione europea si guarda bene dall’impegnarsi in operazioni di pattugliamento in acque internazionali. Quasi tutto il “lavoro sporco” è demandato alla Guardia costiera libica, che però nel caso dell’ultimo naufragio c’entra poco, perché il barchino affondato a sole 5 miglia da Lampedusa era partito dalla Tunisia e non dalla Libia, da cui in migliaia cercano di fuggire per essere ricacciati indietro. Storie di abusi, privazioni, viaggi impossibili che si consumano nell’indifferenza di un’Europa più che mai smaniosa d’estate e leggerezza, da anni abituata all’idea che il Mare nostrum sia, per altri, cimitero.
A Lampedusa l’ennesima tragedia suscita la rabbia del sindaco Totò Martello. “Non si vuole prendere coscienza di quello che succede nel Mediterraneo, non vale a nulla la solidarietà che, adesso, ci arriverà. Perché la solidarietà deve essere vera e concreta”. Sul molo Favarolo sono stati portati i cadaveri di sette donne, tra cui una incinta, ma i dispersi sono almeno nove, soprattutto bambini. L’imbarcazione era partita da Sfax, in Tunisia, con a bordo una sessantina di persone; tra le nazionalità segnalate Costa d’Avorio, Burkina Faso, Guinea e altre. Le donne ivoriane che arrivano dalla Tunisia, in particolare, sono spesso vittime di tratta sia a scopo sessuale sia a scopo di sfruttamento domestico, una doppia vulnerabilità che le accomuna alle nigeriane che giungono dalla Libia.
Quello che le organizzazioni competenti lamentano da tempo è l’assenza di un sistema di soccorso in acque internazionali, che assieme alla mancanza di vie legali per entrare in Ue rende il Mediterraneo un campo aperto per i trafficanti di esseri umani.
È per sopperire a questo vuoto che sono scese in mare le navi delle ong, il cui lavoro è però continuamente bloccato da fermi amministrativi o rallentato da misure anti-Covid. La Geo Barents, la nave con cui Medici Senza Frontiere è tornata in mare a metà maggio, si trova attualmente al porto di Augusta, con l’equipaggio in quarantena dal 19 giugno; oggi dovrebbe essere l’ultimo giorno. La Sea Watch 3 è in cantiere a Burriana, in Spagna, sotto fermo amministrativo del governo italiano che ha autorizzato il viaggio di sola andata. La Open Arms, partita da Pozzallo dopo una nuova ispezione il 25 giugno, è ora diretta in Spagna per cantiere. Sea Watch è in fermo amministrativo, così come Sea Eye 4. Mediterranea è in cantiere a Chioggia, mentre l’Aita Mari ha fatto ritorno in Spagna, senza aver fatto la quarantena. La Ocean Viking è partita domenica sera dal porto di Marsiglia: “i team a bordo – fa sapere la ong – stanno attualmente svolgendo una serie di esercitazioni prima di raggiungere il Mediterraneo centrale. Una volta arrivata nella zona delle operazioni sarà – purtroppo – l’unica nave di soccorso civile presente nell’area”.
Con l’avanzare dell’estate è lecito aspettarsi un aumento delle partenze, anche se fare previsioni è impossibile. Lo spiega ad HuffPost Flavio Di Giacomo, portavoce della Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) per il Mediterraneo. “Allo stato attuale, la situazione in Libia resta altamente frammentata. Sappiamo che ci sono circa 5mila migranti chiusi nei centri di detenzione: potrebbero rimanere sigillati lì o finire nelle mani di altri trafficanti. Il dramma di queste persone è che sono usate come arma sia all’esterno sia all’interno, dalle varie milizie e forze rivali. In Libia ci sono ancora tantissimi attori in lotta tra loro, non è come la Turchia che chiude o apre i rubinetti”.
L’aspetto importante da sottolineare – che rende ancora più drammatica la rinuncia europea a salvare vite in mare – è che non siamo di fronte a un’emergenza numerica in termini di arrivi, ma a a una gigantesca emergenza umanitaria. “Con il naufragio di oggi – afferma Di Giacomo – abbiamo probabilmente superato i 700 morti nel Mediterraneo centrale dall’inizio del 2021, contro i 240 dell’anno scorso. C’è un aumento degli arrivi rispetto allo scorso anno ma quando si parla di numeri in aumento si tende a fare un’analisi superficiale e restrittiva: non dobbiamo guardare gli ultimi due anni, segnati anche dalla pandemia, ma gli anni dal 2014 al 2017, quando arrivavano 150-180mila migranti all’anno. Per fare un paragone, a giugno del 2017 erano oltre 80mila i migranti arrivati in Italia nei primi sei mesi, ora siamo a 20mila. Si tratta di un numero abbastanza residuale rispetto a ciò che abbiamo visto in passato. Siamo invece nel pieno di un’emergenza umanitaria in cui le persone muoiono in mare in assenza di un sistema di soccorso in acque internazionali”.
È un appello che chi segue questi temi lancia ogni giorno: c’è un disperato bisogno di un sistema di pattugliamento europeo in acque internazionali, o quanto meno di un maggiore sostegno – e non il contrario – al lavoro delle Ong in mare. “Queste imbarcazioni sono sempre fatiscenti, basta un’onda alta per farle andare giù, cinque minuti possono fare la differenza tra la vita e la morte”, prosegue il portavoce IOM. “Il soccorso deve essere immediato, non si può aspettare che arrivino così vicino alle coste” o lasciarli morire dopo due giorni di SOS, come è stato il caso dei 130 annegati nel Canale di Sicilia ad aprile.
Quel che è certo è che la prima metà del 2021 ha dimostrato una volta per tutte che i migranti partono lo stesso, con o senza Ong. Partono perché i fattori di spinta (push) sono più forti dei fattori di attrazione (pull): dalla Libia non si può che scappare perché resta un posto pericoloso e non sicuro per chiunque, soprattutto per i migranti. Eppure, negli ultimi mesi le autorità italiane ed europee hanno sempre più demandato le operazioni di pattugliamento e soccorso alla Guardia costiera libica, aprendo così un altro fronte di emergenza umanitaria. Secondo l’IOM, quest’anno le motovedette di Tripoli hanno riportato indietro oltre 14mila persone, uomini donne e bambini che in molti casi finiscono in quell’inferno in terra che sono i centri di detenzione libici.
Notizie drammatiche arrivano anche dalla rotta che collega l’Africa occidentale alle Isole Canarie attraverso l’Oceano Atlantico. Una bambina di 5 anni trovata su un barcone alla deriva è morta nella notte mentre veniva trasportata d’urgenza in ospedale da un elicottero dell’esercito spagnolo. Dall’inizio dell’anno in Spagna sono arrivate 6.700 persone dalla rotta atlantica e 5.200 sul territorio spagnolo. Sulla rotta atlantica, dall’inizio dell’anno, sono morte 130 persone. In generale, la rotta più pericolosa e letale del mondo resta quella del Mediterraneo centrale. Dal 2014, anno in cui l’IOM ha iniziato a contare i morti nel Mediterraneo, lungo la rotta centrale sono morte 18mila persone; in tutto il Mediterraneo siamo sulle 23.600.
Sono questi i numeri che dovrebbero smuovere l’Ue, non la paura di un’invasione che non c’è. “C’è una tendenza a creare un allarme sui numeri, ma un continente con 450 milioni di persone non può spaventarsi per 20 o 30mila persone”, osserva Di Giacomo. “In Italia parliamo dello 0,033% della popolazione, è evidente che sono numeri gestibili”. Agli occhi dell’opinione pubblica, l’emergenza umanitaria è sempre più sbiadita; i nostri sistemi anestetizzati registrano l’ennesima tragedia, per cancellarla subito dopo. “Mancano proposte e soluzioni per bloccare i trafficanti”, conclude il portavoce IOM. “Mancano canali regolari per rifugiati e migranti in cerca di lavoro; praticamente non ci sono più vie legali per entrare in Italia. Se si tolgono le vie legali, è chiaro che ad approfittarne sarà sempre la criminalità organizzata”. Come è cronaca di queste ore, ancora, nel paradiso-inferno di Lampedusa.