Di Eleonora Camilli su Redattore Sociale
Makbyel aveva appena 17 giorni quando è stato salvato in mare, a fine dicembre, dalla Ocean Viking, la nave umanitaria di Sos Méditerranée. Appena nato, metà della sua breve vita l’ha passata su un barchino in mare con altre 113 persone in attesa di un soccorso. Per questo, una volta al sicuro sul ponte della nave, la madre ha deciso di dargli come secondo nome “Sos”. Makbyel Sos e gli altri naufraghi hanno saputo che avrebbero sbarcato in un porto sicuro, a Trapani, la notte di Natale. Nelle stesse ore nel Mar Egeo si consumavano due terribili naufragi: il bilancio provvisorio è di 27 vittime e 25 dispersi. Scomparsi in fondo al mare e nel silenzio generale nell’anno in cui l’immigrazione non è più il tema caldo, al centro del dibattito pubblico e politico. Così neanche le vittime del mare hanno dignità di notizia. Ma i numeri sono tutt’altro che irrisori e parlano di almeno 1600 morti nel 2021, sulla rotta più pericolosa al mondo, quella del Mediterraneo.
Complice la pandemia da coronavirus che ha monopolizzato il mondo dell’ informazione, secondo l’ultimo rapporto dell’associazione Carta di Roma “Notizie ai margini”, nel 2021 sono 660 gli articoli in prima pagina dedicati al tema, il 21 per cento in meno rispetto al 2020, anno in cui già si registrava già una flessione dell’attenzione nell’agenda dei media. Il mese con maggiori notizie dedicate è stato agosto con la presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan e la ripresa degli sbarchi verso l’Italia, che a fine 2021 si attestano a quota 64mila. “Le notizie che in questi anni hanno catalizzato l’attenzione, ispirato campagne elettorali, condizionato le politiche europee, nutrito l‘odio di molti, portato la paura nelle nostre case, nel 2021 sono rimaste prevalentemente lì, in quello spazio un po’ indefinito a due passi dall’indifferenza. Eppure quelle notizie ci sarebbero ancora ma invece restano ai margini e suona davvero strano” – sottolinea Valerio Cataldi, presidente di Carta di Roma.
In questo contesto di marginalità sono passati sotto silenzio anche alcuni attacchi al diritto d’asilo all’interno degli Stati europei per gestire i flussi alle frontiere. Il caso più raccontato mediaticamente è stato quello della crisi diplomatica al confine tra Polonia e Bielorussia. Il governo Lukashenko, dopo aver fatto arrivare in aereo migliaia di profughi (per lo più curdi e afgani) li ha spinti verso il confine polacco. Per settimane i due stati hanno dato vita a un vero e proprio braccio di ferro sulla pelle delle persone. Intanto ai profughi era impedito di chiedere protezione nei paesi europei. La commissione Ue per risolvere la situazione ha elaborato una proposta straordinaria di sei mesi che prevede la sospensione di alcune regole su asilo per i tre paesi di confine: Polonia, Lettonia e Lituania. La proposta prevede una semplificazione dei rimpatri e un limite di tempo più lungo per registrare le domande di asilo (da dieci giorni a 4 settimane). Non solo, ma la proposta apre anche alla possibilità di trattenere temporaneamente i richiedenti asilo. Una deroga ai principi che regolano il diritto d’asilo che è stata ampiamente criticata dai giuristi italiani e internazionali. Ma non è l’unica violazione.
Secondo il report “Human dignity lost at the EU’s borders”, elaborato dal Danish refugees Council e alcune agenzie partner (comprese in Italia Asgi e Diaconia Valdese) per tutto il 2021 le regole internazionali sulla protezione sono state sistematicamente violate in diverse aree dell’Ue. In particolare, da gennaio 2021, le organizzazioni hanno incontrato 11.901 persone che hanno denunciato respingimenti alle frontiere interne e esterne dell’Unione Europea. Il 32% dei respingimenti riguarda persone provenienti dall’Afghanistan, molte delle quali hanno visto negato il diritto di chiedere asilo (oltre il 60%). Le temperature invernali hanno contribuito al deterioramento delle condizioni umanitarie : oltre a veder negato il diritto d’asilo, le persone non hanno accesso a un riparo per la notte, vestiti caldi, cibo a sufficienza.
Tra i principi rimessi in discussione nel corso del 2021 anche quelli previsti dal trattato di Schengen. Alcuni paesi del nord Europa (tra cui Francia e Germania) hanno chiesto di poter reintrodurre i controlli alle frontiere interne dell’Unione europea per contrastare i cosiddetti “movimenti secondari” (gli spostamenti dei migranti da uno stato all’altro dell’Unione). La Commissione Ue, anche in questo caso ha approvato una proposta che lo prevede in alcuni casi eccezionali. Il Paese membro dovrà “giustificare la proporzionalità e necessità della sua azione tenendo in considerazione l’impatto sulla libertà di circolazione” delle persone.
Intanto guardando all’andamento della mobilità internazionale i numeri dicono che seppure siano in aumento le persone in fuga nel mondo, in Europa diminuiscono sia gli arrivi irregolari (-12 per cento) che i richiedenti asilo (crollati di ben un terzo). Il dato è contenuto nel Rapporto asilo 2021 della Fondazione Migrantes. “La pandemia di Covid-19 ha reso ancora più gravoso qualsiasi motivo, qualsiasi spinta a lasciare la propria casa, la propria terra. Dai conflitti alle persecuzioni, alla fame, all’accesso alle cure mediche fino alla possibilità di frequentare una scuola, il Covid-19 ha inasprito il divario fra una parte di mondo che vive in pace, si sta curando, tutelando e sopravvivendo e un’altra che soccombe, schiacciata da una disparità crudele – si legge nel testo -. Ma almeno in tutto il 2020, l’Italia e l’Europa hanno rappresentato un’eccezione in controtendenza rispetto alla situazione globale: mentre nel mondo il numero delle persone in fuga continuava ad aumentare, fino a una stima di 82,4 milioni, nel nostro continente si sono registrati meno arrivi “irregolari” di rifugiati e migranti e meno richiedenti asilo”.
In particolare, in Italia (dati Istat) a inizio 2021, con poco più di 5 milioni di residenti, la popolazione straniera dopo vent’anni di crescita ininterrotta si è ridimensionata e non riesce più a compensare “l’inesorabile inverno demografico italiano” come lo definisce il Rapporto italiani nel mondo 2021 della Fondazione Migrantes. Ormai il saldo tra entrate e uscite dal nostro paese è negativo: sono più i cittadini italiani che decidono di andare all’estero a vivere e lavorare che i migranti che arrivano nel nostro paese per stabilirsi. “L’Italia – spiega Fondazione Migrantes – è oggi uno Stato in cui la popolazione autoctona tramonta inesorabilmente e la popolazione immigrata, complice la crisi economica, la pandemia, i divari territoriali e l’impossibilità di entrare legalmente, non cresce più”. Tuttavia c’è un’Italia che cresce ed è “quella che risiede strutturalmente all’estero”. Nell’ultimo anno l’aumento della popolazione iscritta all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire) è stato del 3% (il 6,9% dal 2019, il 13,6% negli ultimi cinque anni e ben l’82% dal 2006, anno della prima edizione del rapporto).
Foto in evidenza di Suzanne de Carrasco / Sea-Watch
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